Su Electomagazine.it, 21 settembre 2022

Da qualunque parte si analizzi il panorama umano, sociale e politico di questo fosco terzo millennio, si incappa in un fuorviante gioco di specchi deformanti, in una atmosfera di decadenza morale, comportamentale e psichica.

Non è solo il Forestaro di Jünger a rappresentare simbolicamente questa epoca: poteva esserlo nella farsa pandemica, visto come potere costituito dall’angoscia progettata e diffusa. È di più, molto di più e di peggiore.

È come un flagello dello spirito, una empietà dell’anima, una infezione di ogni principio. È come il maleficio delle larve astrali per gli occultisti: succhiano energia, diffondono negatività, indeboliscono le difese e diffondono le depravazioni.

In tempi non corrotti dal materialismo e dal relativismo, eccellenze filosofiche come Tommaso Moro, Tommaso Campanella, Francesco Bacone e, capostipite del pensiero supremo di etica ed estetica, Platone, avevano impostato l’idea di Stato organico: uno Stato che, come nel corpo umano, ogni apparato opera secondo precise funzioni per la vitalità del tutto. La totalità si completava nell’armonia delle parti, nell’equilibrio delle singole attività, nell’ordine delle specifiche competenze.

Questa immaginazione filosofica è stata ridotta ad utopia – ou-topos – come “non luogo” dall’interpretazione volgare. Ma la sua più corretta spiegazione è “luogo del Bene” – eu-topos: e così dev’essere intesa.

Niente di fantasioso e di irrazionale, anzi, ma un’idea di perfezione verso la quale tendere in maniera progettuale e con volontà di realizzazione.

Il senso del Bene è sempre stato inteso in concomitanza stretta con il senso del Bello, esattamente come estetica contiene il concetto di etica.

Ma questa visione del mondo e delle cose – in una parola di quella natura che secondo gli antichi nessun uomo e nessun dio creò – è stata contestata dal pensiero liberalcapitalista in quanto portatrice del germe totalitario e antidemocratico. Popper con la società aperta è stato il progettista dell’odierna demolizione. Da qui in poi, la deriva è stata come inarrestabile secondo l’effetto domino.

Ora tutto è scomposto, inorganico, disarmonico, sproporzionato, disordinato.

Del resto, come ha scritto Jünger nel romanzo Le Scogliere di Marmo, “Profondo è l’odio che l’animo volgare nutre contro la bellezza”, ed è proprio dalla dissacrazione del Bello che si può facilmente partire.

Oggi tutto è infettato dalla volgarità: il linguaggio, l’abbigliamento, gli atteggiamenti, i pensieri, l’architettura, la musica, la scrittura, il cinema, persino i fumetti e i cartoni animati. Non c’è spazio individuale e sociale che non sia stato contaminato dal cattivo gusto e dal livellamento modaiolo.

L’uomo è stato disidentificato in una liquidità inautentica e ripugnante. Un essere senza gravità, secondo lo psicoanalista Melman, o con la coscienza annientata, per usare le parole di Germinario: una entità vagante tra l’indistinzione sessuale e la sciatteria psichica.

La società è stata ridotta ad una massa amorfa – tanto più resiliente quanto più succube e accondiscendente –, incapace di discernere, di discriminare, di decidere, perché depotenziata nella volontà e diseredata da ogni potenziale visione e destino, in più inchiodata ad un presente demoralizzante e rassegnato.

“Una civiltà fiorisce quando la sua classe dirigente sa esigere dal popolo le virtù dalle quali essa vuole esimersi”, ha scritto Gómez Dávila: intuitivo nel pensiero, ma in ritardo sul nostro tempo, in cui il potere vuole imporre al popolo i vizi di cui è il perverso portatore.