Alcuni decenni fa, la Chiesa di Roma lanciava l’allarme contro l’invadenza del fenomeno New Age. In parole comuni ma popolari, chiudeva la stalla quando i buoi se ne erano andati. Oramai, infatti, siamo da anni all’invasione, all’alluvione di una moda che ha corroso ed infiltrato tutte le fondamenta della nostra Europa, con l’aggravante di un Papa che ha sdoganato ogni forma di sincretismo.

Questo network, la New Age, si è sviluppato in quell’America che ha sempre detestato e rifuggito qualunque dottrina religiosa; in quell’America dove non esistono sacerdoti, coloro che conducono verso il sacro, per la semplice ragione che il senso del sacro non esiste: lì fioriscono – e si arricchiscono – i predicatori d’ogni specie; in quell’America dove “le chiese sono come dei clubs”. Proprio lì, unite ad un’inesauribile fonte di denaro, si sono diffuse come metastasi le più disparate sette. Da quest’informe e indistinta accozzaglia di credenze si è sparpagliato nel mondo il verbo devastante della New Age. Questa subreligiosità, fatta di sincretismi e di mescolanze deviate è facile sponda per chi rifugge la pratica della conoscenza, dell’approfondimento, del sacrificio, per adagiarsi nel dilettantismo pseudomistico della salvezza in svendita, dell’appagamento fisico, psichico e spirituale anestetizzante. Bravi operatori di marketing hanno raffazzonato tradizioni più disparate, le hanno opportunamente allungate con miraggi universalistici e omologanti, le hanno distribuite a prezzi scontati, e infine hanno spacciato quattro libercoli e sei sedute di autoconsapevolezza per la via maestra dell’illuminazione e della beatitudine.

Ottima operazione di sabotaggio e d’infiltrante devastazione. Ma la Chiesa, nel frattempo dov’era? Era impegnata a ridurre il cristianesimo a pratica socioiatrica e filantropica, e i suoi rappresentanti ad un misto tra assistenti sociali ed educatori civici; era impegnata ad abbassare affabilmente la sacralità alla portata di tutti – evitando lo sforzo di questi tutti ad elevarsi verso il sacro. Risultato: tutti saranno gli eletti indipendentemente da qualunque chiamata. Un’enorme e perversa mediocrità in nome della modernizzazione e della democratizzazione di Dio. Nessuna meraviglia, quindi, per la diminuzione delle vocazioni: si può essere vocati all’alto, ma verso il basso si precipita o si è trascinati.

Mi ricordo il bellissimo aneddoto riportato da Jean Cau in Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo quando Remigio, il vescovo di Reims, raccontava il martirio di Cristo al barbaro Clodoveo per convertirlo. Quando arriva alla corona di spine, Clodoveo scatta in piedi e piangendo grida: “Ah vescovo, perché non ero io là con i miei Franchi!”. Non ci sono più i Franchi disposti a difendere l’idea di sacralità. La Chiesa da anni è solo un piagnisteo e una profusione di scuse. La Chiesa – assieme altre istituzioni – si vergognano di essere stati grandi conquistatori, di aver costruito grandi imperi, di aver combattuto per grandi idee: oggi l’esercizio ginnico preferito è la genuflessione. E mentre i piegati si umiliano ai nani, giullari, saltimbanchi, mistificatori e ciarlatani esultano per il fallimento di una civiltà.

E questo Papa, celebrante di una Chiesa sovversiva, sta dando la spinta finale alla sua già precaria esistenza baciando le scarpe sanguinari dittatori africani, condividendo percorsi teologici con gli islamisti, scusandosi per dei manufatti idolatrici gettati nel Tevere.

Il fallimento è in atto. La Chiesa è finita, andate in pace.