Il 20 luglio del 1950, Oscar Luigi Scalfaro, il democristianuccio delle “otto condanne a morte ottenute delle quali sette eseguite” – come precisò Giorgio Pisanò – insultò, e si dice, schiaffeggiò Edith Mingoni in Toussan, una giovane signora militante del Movimento Sociale Italiano per il suo abbigliamento, a suo parere, sconveniente per le spalle nude.
Il tempo è passato, e con esso sono cambiati i costumi nel bene e nel male. L’Occidente è corrotto? Di sicuro! Il limite del buon gusto, del decoro e della decenza è stato superato? Certo, e anche abbondantemente! Ma quanto sta accadendo in Italia e in altri paesi europei ha un odore piuttosto solforoso di carattere inquisitorio, e non certo cattolico.
Che la nostra civiltà, se vuole riprendersi, debba ripulirsi è un dato assodato, ma la tempistica e la modalità mi paiono sospetti.
Personalmente, sono stato sempre favorevole alle divise scolastiche per una questione di uguaglianza sociale. Reputo sconveniente, eticamente indelicato, che già dalle Primarie si faccia sfoggio di marchi, di firme e contrassegni di carattere economico, di potere acquisitivo familiare. È un’operazione che interessa i genitori i quali, come sottolinea lo psicoanalista Melman, <<consumano i propri figli in una società che va in rovina>>. La scuola deve partire dall’uguaglianza esteriore ed interiore di opportunità, e la differenziazione deve avvenire per impegno, dedizione e risultato, non per classificazione di ostentata agiatezza.
Detto ciò, che vengano vietate le minigonne per deviazioni oculari degli insegnanti mi pare una operazione equivocamente ridicola.
Mi pare subdola perché si collega all’invito a considerare le mascherine come un capo di abbigliamento, al divieto di entrata al Museo d’Orsay ad una donna per la scollatura, alle donne espulse dall’autobus per un abbigliamento ritenuto inopportuno.
Questo moralismo accattone che misura i centimetri di coscia esposta, la percentuale di tette esibite, la precisione nella copertura del viso non mi dà di ipocrisia democristiana, quanto di prevenzione poliziesca.
Una cosa è, nella sua pur farisaica e ipocrita giustificazione, la proibizione perbenista della vecchia Europa, del “si fa ma non si dice”, del “non lo fò per piacer mio, ma per far piacere a Dio”, del puritanesimo da buco della serratura, altro è il divieto precauzionale per evitare l’eccitamento del maschio selvatico o il disprezzo per altre culture e visioni o, peggio, per scongiurare possibili comportamenti imitativi religiosamente e politicamente non condivisi.
Ricordando le parole boldriniane a giustificare certi comportamenti allogeni – “I migranti oggi sono l’elemento umano, l’avanguardia di questa globalizzazione e ci offrono uno stile di vita che presto sarà molto diffuso per tutti noi” –, il sospetto fondato è che queste iniziative di controllo corporeo femminile siano il preludio della censura delle caviglie, della ciocca di capelli sfuggente, del profumo invadente, del rossetto e di altri parametri moralistici che nulla hanno a che fare con la nostra libertà di espressione.
Che la decadenza del corrotto Occidente venga affrontata con strumenti omologhi, e non certo per intervento di estranei fondamentalisti del buon costume.