Gli amici continuano a sollecitarmi sul fenomeno sardinesco, a prendere posizione su questo evento ectoplasmatico che si pretende portatore di una nuova politica, di un nuovo linguaggio.
Molto semplicemente ritengo che non abbia la consistenza per poter creare un dispositivo di confronto, una minima base di spessore culturale e ideologico.
Ascoltare le loro esternazioni crea uno stato d’animo di imbarazzo per la pochezza ideativa, per la miseria intellettuale, per la completa e totale insufficienza concettuale. Il loro assemblaggio parolaio è fluttuante, privo di gravità – inteso come forza di attrazione secondo Newton, non certo come drammaticità per l’eterodirezione del nulla dalla quale sono manovrati. Con tutte le buone intenzioni dialogiche non c’è un minimo aggancio argomentativo sul quale aggrapparsi per poter entrare nello scambio creativo della parola.
Le sardine, comunque, non sono un movimento, ma un fenomeno convulsivo. Il movimento presuppone una direzione diversa rispetto ad un punto di partenza, un cambiamento di stato fisico, di pensiero, di progetto, una modificazione di meta e di prospettiva: nel movimento è implicita una forma, un’armonia, una fisionomia. Tanto per capirci, la danza è un movimento, la scarica epilettica è una crisi convulsiva.
Ecco, le sardine sono la crisi convulsiva del sistema liberal-capitalista, sono la scarica pulsionale del potere che, con l’acqua alla gola, si aggrappa a questo relitto virtuale per trovare un supporto ed una giustificazione di piazza al suo dannoso esistere.
La sinistra – non intesa nell’accezione ideale del comunismo – è il residuato di quell’ideologia del progresso prostituitasi – e non poteva essere diversamente – al libero mercato e, con esso, alla mistica della globalizzazione.
Incapace di discernere il vero dal falso, l’utile dal superfluo, il reale dal fatuo, rincorre la mitologia dell’uguaglianza attraverso la lotta al sessismo, al razzismo, alla religione, alla discriminazione e ad altre amenità che il grande filosofo comunista György Lukács avrebbe liquidato come viziosità borghesi.
Di fronte a problemi gravissimi quali l’infiltrazione delle mafie straniere, i suicidi giovanili, la povertà diffusa, la disoccupazione, la criminalità islamista – e potremmo continuare nel lungo elenco –, questi poveracci si preoccupano di togliere la parola all’opposizione, senza mettere in discussione le operazioni catastrofiche di un governo illegittimo, vedi Mes, tanto per capirci.
Privi della minima capacità di analisi, oltre a mentire e a sproloquiare, non si chiedono il perché di certe adesioni, ma godono della considerazione del servo quando il padrone lo gratifica con la pacchetta sulla zucca vuota.
Detto ciò, è del potere che li supporta e li foraggia che bisogna occuparsi, non di questi quattro derelitti in cerca di un attimo di notorietà.
Godono mentre si rifanno al Gaber de “La libertà è partecipazione”, mentre l’unica canzone nella quale possono riconoscersi è “Il conformista”.
Giocate, sardine, giocate, che ogni carnevale finisce con un ballo in maschera.