Da Al Maghribiya

Anni fa ci fu un incontro pubblico nell’ospedale in cui lavoravo sull’approccio all’allattamento. Data la mia notoria moderazione ed allenato savoir faire, ho specificato il mio imbarazzo per una simile ridicola iniziativa, priva non solo di pratico buon senso, ma di inconsistenza storicamente accertata.

Chissà come avrà fatto Aurelia Cotta, madre di Gaio Giulio Cesare, o Olimpiade d’Epiro, madre di quell’Alessandro Magno, morto a trentatré anni dopo aver conquistato, in dodici anni, l’Impero persiano. Fate voi i conti dell’età del comando. O, ancora, Perittione, la madre di Platone, per altro vissuto fino ad ottant’anni. E milioni di altre donne che hanno supportato, con maternità multiple, secoli di fiorente civiltà.

Questa civiltà, invece, decadente, ha impostato la sua organizzazione da decenni, su un impianto catastrofico per la vitalità della stessa. Dalla procreazione alla morte, tutto è delegato alla tutela tecnocratica.

Si nasce con la certificazione ovulare e spermatozoica, si vive con le scadenze mediche e laboratoristiche, si muore – sarebbe il caso di dire si viene rottamati – con l’attestazione dei tanatocrati.

Dalla nascita all’età adulta ci sta l’infanzia e l’adolescenza, ovviamente, ed è in questo periodo che viene formato il carattere e la psiche della persona. Ed è proprio sulla pessima impostazione educativa di questo periodo che Paolo Crepet ha parole di fuoco contro genitori e insegnanti nel suo saggio “L’autorità perduta”.

Genitori e insegnanti i quali, invece di formare giovani forti, coraggiosi e intraprendenti, in complice sinergia concorrono a farne degli inermi, bisognosi di accudimento e di inesauribile maternage.

Alle Elementari, il primo giorno, ti portavano e ti mollavano ad una sconosciuta donna, riconosciuta poi come maestra, poi ci andavi da solo, e tra il secondo e il terzo anno c’era pure un esame. Alle Medie ti arrangiavi nelle ricerche, ti beccavi la nota se non eri preparato, ti addestravano alle delusioni dei brutti voti. Alle Superiori affrontavi un esame di matura complesso e rigoroso, magari dopo scazzottate per politica o per la squadra del cuore.

Adesso, manca poco che i genitori accompagnino i bambocci all’università per il periodo di inserimento, per altro con totale soddisfazione dei medesimi.

È chiaro che poi, indipendentemente dell’evento virale in corso, ogni intoppo da affrontare individualmente diventa una catastrofe esistenziale ed una angoscia di smarrimento.

Venuti meno quelli che da sempre sono stati considerati fondamentali nel percorso di strutturazione della personalità – i famosi riti di iniziazione come la scuola, gli esami, le interrogazioni, il servizio militare –, oggi siamo di fronte ad una emergenza psicologica grave, basti pensare all’elevato numero di suicidi giovanili.

Ma la colpa non è del fattore esterno – quale stress avrebbero potuto lamentare “i ragazzi del ‘99”, diciottenni sul fronte a combattere dopo la ritirata di Caporetto – ma dal sistema educativo in generale che ha rinunciato a forgiare i giovani, e non ha pensato alle conseguenze di questa abdicazione.

Esiste un sistema immunitario psichico che agisce con le stesse modalità di quello biologico: antigeni compatibili con l’età, che possono essere le difficoltà della vita a partire dall’infanzia, attivano quel sistema di anticorpi, che viene chiamato resilienza, essenziale per un efficace percorso di maturazione.

Senza anticorpi psichici una persona è predisposta a subire passivamente anche i minimi attacchi della realtà. Ecco, allora, che la semplice chiusura domestica diventa fonte di ansia, di depressione, di demoralizzazione. Un semplice e temporaneo cambio di abitudini si trasforma in un’esperienza traumatica.

C’è un lavoro di ricerca importante di Jean Twenge, “Iperconnessi”, con un sottotitolo esemplificativo: “Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti”. L’onda lunga del disastro americano è arrivata a noi, e non sarà l’ulteriore tutela psicologica a risolvere il problema. Si tratta di ridefinire ruoli, funzioni e partecipazioni di più dispositivi, in primis la famiglia e la scuola. Solo con una ridefinizione di sistema si potrà migliorare il tutto, con tempi e modalità che non sono certamente definibili dall’urgenza.