Uno apre una serie di giornali e alla fine della lettura, più o meno approfondita, ha una certa percezione di smarrimento nel constatare un flusso ininterrotto di contraddizioni tra quello che espongono verbalmente ed esibiscono dal punto di vista comportamentale, i vari rappresentanti politici siano essi governativi o della fantaopposizione.

Dalle ultime parossistiche esternazioni, recuperiamo soltanto due di queste, a documento dell’argomentazione.

A destra, il governo dei traditori del proprio passato e delle stesse promesse elettorali ha varato il nuovo decreto flussi che stabilisce 164.850 quote per il 2026, 165.850 per il 2027 e 166.850 per il 2028, per un totale di 500.000 mila allogeni regolari. È il termine “regolare” che mi procura un misto tra la tenerezza per la povertà culturale e ideologica del documento, associato a una sorda rabbia per la cinica svendita della nostra nazione. Dico questo perché non occorre avere fatto dei corsi specifici di strategia e di guerra ibrida o simmetrica che dir si voglia per capire la fatuità di questo indicatore, ma sarebbe sufficiente rivedere il film “La rivolta di Algeri” di Gillo Pontecorvo, quando il comandante dei paracadutisti sottolinea l’inutilità dei controlli ufficiali nei posti di blocco situati all’entrata della casbah, facendo notare come non esistano terroristi che entrino nei territori con i documenti contraffatti e comportamenti sospetti.

La sinistra, peraltro, secondo le parole di un grande marxista e di un grande amico, Costanzo Preve, “ha sostituito al mito sociologico del proletariato, il mito antropologico della diversità e dell’immigrato [cosicché] il migrante ha sostituito il contadino povero e l’operaio-massa incazzato, Gramsci con Vladimir Luxuria [con il risultato è che questa] è presentata come un modello antropologico di avanguardia e non come semplice e rispettabile caso umano”. Per completare il quadretto della deriva mancava al Gay Pride il prode Landini, con la divisa di ordinanza costituita da perizoma fosforescente, calze a rete e tacchi a spillo con il dovuto striscione che poteva essere, per fare un esempio, “culi aperti come i nostri contratti” o “non lasciateci soli con i capitalisti”, ma niente di tutto ciò è accaduto.

“Amo colui che getta parole d’oro dinanzi alle sue azioni e mantiene sempre di più di quanto ha promesso”, disse Nietzsche, e se si analizzassero con approfondito rigore i proclami elettorali delle due fazioni, scopriremmo che le parole erano senza valore e le azioni di molto distanti dalle promesse proferite. Quindi, a seconda delle prospettive, un po’ di astio e di avversione sono più che giustificabili in coloro che hanno votato questi fenomeni da baraccone.

C’è un punto, ultimo, da chiarire, perché è collegato al titolo.

Chi osserva quanto sta accadendo senza una salutare dose di malizia e di spregiudicatezza penserebbe che tutti gli avvenimenti in corso non hanno senso, siano una distruttiva schizofrenia. Niente di tutto ciò. “Sarà pazzia, eppure c’è del metodo in essa”, riconosce Polonio nella finta pazzia di Amleto, lo stesso dicasi per quella a destra e quella sinistra che hanno rinnegato i propri padri, che hanno tradito gli antichi ideali, che usufruiscono delle passate indicazioni ideologiche senza avere il coraggio di rivendicarle. Nessuna pazzia, come può essere umanamente intesa, ma una lucida strategia per mantenere le proprie posizioni, i propri privilegi, le proprie vergognose franchigie.

“C’è del marcio in Danimarca”, annuncia Marcello, la guardia reale che scorta Amleto all’appuntamento con lo spettro del padre, il defunto re assassinato. Perché non era ancora riuscito ad intravedere di quanto marcio ci sarebbe stato in questa Repubblica italica, serva di altri poteri, succube di altre volontà, incline al tradimento e al doppio gioco, pateticamente posizionata su finte idee e su ingannevoli stravaganze fluide e fucsia.

 

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