Con questo titolo di un suo saggio, Duccio Demetrio analizzava spunti e indicatori positivi e negativi del sistema dell’educazione e dell’istruzione del nostro tempo. Anche noi siamo convinti che l’educazione non sia finita, ma possiamo anche constatare che è piuttosto distorta e non esprime una grande salute.

I tempi cambiano – volenti o nolenti – ed è chiaro che in questo processo ineluttabile, non solo temporale, anche i valori e i costumi ad essi collegati subiscono delle trasformazioni. Il problema, però, sorge nel momento in cui anche i princìpi cedono, confondendosi con i valori e perdendo la loro prerogativa di centralità e di riferimento.

Oggi si confonde, e artatamente si vuole confondere, educazione con insegnamento, eludendo un concetto essenziale di differenza: educare, etimologicamente significa portare fuori, fare emergere le competenze del singolo, le sue doti innate, la sua vocazione nascosta; insegnare, invece, vuol dire incidere un segno, iscrivere un dato, fornire una serie di conoscenze che sviluppino il pensiero pratico e logico.

La diversità tra i due dispositivi è evidente, seppure entrambi concorrano – però in qualità e quantità disuguali – alla formazione della persona.

Il primo lavora sul piano psichico, si potrebbe dire quasi a livello inconscio, attivando energie nascoste, aspirazioni ancora non delineate, inclinazioni confuse e indefinite. Il secondo su quello razionale, sull’apprendimento concettuale, sul ragionamento sistematico.

I due campi di intervento è stato detto che concorrono alla struttura della personalità, alla formazione del carattere, anche perché ogni informazione data – pensiamo alla vecchia cosiddetta educazione civica – ha bisogno di un di più che va oltre la semplice acquisizione cognitiva e comportamentale di uno stile. Quel di più, mancante nei tempi attuali, è l’esempio. Il coraggio, il rispetto per gli anziani, la difesa del più debole, l’attenzione per la natura, il senso dello Stato ed altri comportamenti di relazione – come direbbe Platone – sono cose imparabili, ma non insegnabili. Sono stili di vita che non si apprendono con un corso intensivo di fine settimana, con gli appunti di un coacher che va tanto di moda al posto di allenatore o le slides di qualche esperto di comunicazione. Già il coraggio meriterebbe un saggio a parte; o meglio, il disinnesco del coraggio da parte della scuola e della famiglia. Una denuncia in proposito l’aveva già esposta Paolo Crepet in un suo lavoro: <<Perché abbiamo permesso che il mestiere di educatore sia sia trasformato fino ad eludere l’idea di dover fare crescere una generazione più forte di giovani? [] si sta diffondendo un certo senso comune, accettato da buona parte degli adulti, , teso a rendere il futuro dei nostri figli sempre più fragile e ricattabile. [] le leggi regionali e statali sono arrivate a provvedere all’indebolimento dei giovani cittadini>>.

Il sistema, in questo caso inteso come collusione tra scuola e genitori, ha creato questa condizione di sfiancamento attraverso gli esempi della rassegnazione, del compatimento e del giustificazionismo. Una scrittrice americana, Claire Fox, ha definito una certa attuale generazione <<fiocco di neve>>, talmente fragile da sciogliersi alla minima difficoltà. Immaginiamo come possono essere, e come li vediamo quotidianamente, gli altri stili di vita.

Questo perché l’educazione si è arresa, o è stata volutamente accantonata, e sostituita neanche con l’istruzione, ma con il livello ancora più basso di conoscenza che è l’informazione.

Tra connessioni e social media, i giovani sono illusi ad una idea di sé e del mondo totalmente sganciata da ogni parametro di realtà. Immersi in un mondo ovattato, senza rischi, senza sforzi, senza competizione e senza confronti, ogni evento imprevisto o contraddizione o limite determina un trauma, fino ai drammi che spesso finiscono in cronaca nera.

Come esiste il sistema immunitario organico che si rinforza attraverso l’esposizione agli antigeni e la creazione di appropriati anticorpi, così esiste un sistema immunitario psichico che si attiva e si potenzia attraverso quegli antigeni che sono l’avventura, il confronto, la sfida, la sconfitta, la frustrazione, l’imprevisto ed altri fattori che non dipendono dalla volontà, ma che la fortificano proprio attraverso le esperienze di realtà. È proprio il misurarsi con la realtà – secondo tempi e modi adatti ovviamente all’età – che permette lo svolgersi del processo di formazione dell’adulto.

L’obiettivo della sinergia tra educazione ed istruzione era quello di forgiare l’uomo, quindi, di dare un senso alla sua stessa vita, di creare una immagine di futuro da raggiungere. Questo fine è stato tradito, con il risultato di una infantilizzazione generalizzata e, con essa, di una diffusa fragilità di fronte alla vita stessa.

Si è voluto facilitare l’esistenza dei giovani eliminando ogni ostacolo e ogni prova iniziatica, e si è determinata una generale incapacità a sopportare le scontate difficoltà di quell’unica impresa irripetibile che ci è concessa di sperimentare.