Quando vedo che tutti attaccano una persona mi viene l’istinto di difenderla, così quando uno viene osannato dalla massa, per un istinto altrettanto da bastian contrario mi viene da fargli le pulci delle sue mancanze.
Ora mi tocca difendere Erdogan di fronte agli attacchi confusi dei benpensanti e dei morigerati di ogni razza e colore.
A cadere dalle nuvole sono tutti i discutibili rappresentanti politici europei, ma credo sia sufficiente limitarsi al rossore imbarazzante che procurano i nostri connazionali.
Erdogan l’istigatore della violenza, Erdogan il fomentatore islamista, Erdogan l’organizzatore dell’invasione jihadista, Erdogan il populista contro gli armeni, Erdogan il finanziatore del terrorismo. Erdogan di qua, Erdogan di là…ma chiediamoci chi è Erdogan.
È uno che nel lontano 1998 si beccò dieci mesi di carcere per aver letto alcuni versi dello scrittore Ziya Gökalp: «Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati…». Erano ventidue anni fa.
Il Presidente turco è sincero, determinato, risoluto e, se vogliamo, spregiudicato. Lui punta alla grande Turchia: radicale, islamica e identitaria. Si circonda di fedeli alla causa e di credenti nella conquista. In fondo, può essere la raffigurazione moderna di Muhammad al-Shaybani, il giurista che nel ‘700 pianificò il jihad come guerra senza quartiere agli infedeli.
Da devoto condottiero se ne frega delle convenzioni politicanti e delle regolamentazioni da legulei; lui usa tutti gli strumenti utili alla causa: dai ricatti delle scorrerie alle insidie finanziarie, dalle manovre militari alle esaltazioni religiose. Se il fine giustifica i mezzi, lui ha ben chiara la meta ed è cinico nei metodi.
Questo è il nemico, secondo Lao-Tzu, il quale consiglia anche di conoscere se stessi. E qui, come dice un detto popolare, casca l’asino. Perché i politicanti istituzionali non solo intuiscono vagamente il nemico o, quanto meno, lo sottovalutano in quanto tale ma, fatto ancora più grave, di fronte a lui si dimostrano imbelli, compiacenti, se non complici.
Di fronte a Erdogan è dispiegata una parata di inefficienti e di mediocri. Un suo pari grado – il Presidente della Repubblica – totalmente assente di fronte ad una crisi interna ed internazionale di inaudita gravità. Un Ministro degli Esteri, geopoliticamente ridicolo, che distribuisce milionate a governi discutibili, scarica i pescatori sequestrati, annaspa linguisticamente in dichiarazioni riprovevoli. Un Ministro degli Interni, che di positivo può rivendicare solo il tampone per il Covid, che brancola nel buio degli sbarchi, si contorce in soluzioni censurabili, si barcamena tra prefetti e assistenti sociali. Un rappresentante del culto – il sovversivo Bergoglio – che riscrive la dottrina, flirta con gli islamisti, tace sul genocidio cristiano.
Diceva Jacques Lacan al paziente angosciato e rivendicativo: torni quando mi dirà che responsabilità si assume nel disastro che è venuto a raccontarmi.
Bene, partiamo così. L’islamismo radicale vincerà se non riconosceremo in Erdogan un pericoloso terrorista per tutto l’Occidente, e se l’Occidente non dispiegherà tutte le sue forze per combattere il pericolo sopra indicato.
Se continuerà così, per noi, non resta che ricordare le parole dell’ufficiale paracadutista de “I Centurioni” di Lartéguy: “Abbiamo una coscienza e dei rimorsi, e perderemo per colpa loro”.