Credo che questa potrebbe essere un’elegante e costruttiva maledizione, pur nella consapevolezza che, una volta insinuato un simile tarlo, molte precarie identità andrebbero in frantumi. Dubbio che non è una rivisitazione comoda dei propri comportamenti, né un anticipo di pentimenti per antiche azioni da rinnegare, e neppure spontaneo opportunismo per aderire ad altre e più comode posizioni. Ma una sana diffidenza nei confronti di quella doxa univoca e governata dai detentori del potere della disinformazione politica. Questo per quanto riguarda le sollecitazioni esterne, quelle eterodirette.

Poi, ci dovrebbe essere un ulteriore e per certi versi più drastico e severo sospetto verso quella accondiscendenza interiore a cercare incessantemente conferme al proprio pregiudizio, a scartare ogni opzione di pensiero che renda incerte delle certezze acquisite, a rifiutare anche la minima sbavatura nella struttura inossidabile della propria presunta verità.

Pur rifiutando ogni interferenza relativistica a riguardo di princìpi che non sono mai negoziabili, sulle opinioni possiamo giocarci qualunque variabile che non intacchi i primi, ma che permetta alle seconde di esercitarsi in nuova interpretazione dei fatti, o comunque ottenere da queste altre opportunità alternative di giudizio e di chiarimenti.

Sono convinto che solo con questa impostazione mentale si possa con una certa distanza emotiva analizzare l’assassinio di Qasem Soleimani e le isteriche prese di posizioni espresse in proposito.

Stabiliamo da subito due paradigmi concettuali: la teocrazia iraniana è quanto di più distante si possa concepire rispetto alla mentalità occidentale e allo stile di vita europeo; questo occidente americanofilo e questa Europa bancarottiera sono altrettanto abissalmente estranei alla nostra concezione di impero dei popoli.

Detto questo, a sangue freddo e con lucidità di diagnosi, analizziamo l’accadimento e il contesto in cui è avvenuto.

Un generale in volo diplomatico e con scopo politico di mediazione viene ucciso da una potenza straniera in un territorio terzo. Quindi, il rappresentante ufficiale di uno Stato rimane vittima di una violazione della sovranità nazionale senza, per altro, che ci sia alcuna condizione di guerra in corso.

Immediatamente scatta la retorica del piagnisteo: è un terrorista che odia Israele e nel cui paese non esistono i diritti dell’uomo; in Iran lapidano le donne, uccidono i cani, impiccano gli omosessuali.

Ora, ritorno a quando molti decenni fa la mia maestra delle Elementari mi insegnò che nelle operazioni matematiche bisogna sempre confrontare gruppi omologhi, come mele con mele e pere con pere.

Bene. Allora che ci azzecca tutta questa confusione di opinioni con il fatto in discussione? Esattamente nulla, tranne che, per alcuni, alzare una barriera fumogena per non inquadrare l’evento terroristico.

Soleimani e il suo gruppo militare ha preso parte a specifiche azioni di guerra in difesa delle popolazioni cristiane, combattendo l’Isis e prendendo delle posizioni non solo teoriche, ma fattive e concrete contro il radicalismo musulmano e la violenza islamista. E nel momento in cui l’Isis e le sue diverse facce terroristiche festeggiano la morte di Soleimani come un intervento divino, forse quel dubbio di cui si parlava all’inizio dovrebbe emergere e pensare, nel fatto, chi siano i nostri nemici.

Questa posizione potrebbe essere considerata opportunista. E se lo fosse? A tutti i duri e puri dell’ideologia bisognerebbe ricordare, per quanto riguarda la storia italica, quel Concordato con la Chiesa voluto dal mangiapreti Mussolini. E gli accordi con i Soviet attuati dal fascismo con la supervisione di Nicola Bombacci.

La storia, la prassi politica, la stessa realtà è molto meno solida e definita di quanto ci farebbe piacere che lo fosse. Se si critica la politica israeliana ti accusano di antisemitismo; se parli della politica economica e sociale del fascismo scatta la convulsione antifascista; se sostieni certe istanze della causa palestinese ti indicano come un cripto-islamista; se difendi un imputato sei dalla parte del crimine; se condividi una condanna sei servo dei giudici. Ognuno parla a vanvera seguendo le proprie pulsioni e smuovendo gli istinti peggiori della propria Ombra.

Che ci piaccia o meno, pur con le dovute precauzioni, Nietzsche ha perfettamente ragione: <<Tutte le cose diritte mentono. Ogni verità è ricurva>>.

Forse, spesso, sarebbe meglio fare attenzione alla curvatura, prima di andare a sbattere contro la realtà accecati dalle personali infatuazioni sentimentali.