Capita anche a qualcun altro, di avere la sensazione di vivere in uno stato di totale disorganizzazione mentale, di incomprensione della realtà circostante? Percezione non riferibile alla propria persona, ma al clima politico e all’atmosfera sociale dentro al quale ci si trova involontariamente inseriti.
Una delle illusioni che emerge in tempi diversi, ma sempre con uguale intensità, è quella legata ai cosiddetti “ludi cartacei”, una forma di divertimento che l’ipocrisia democratica offre saltuariamente ai suoi sudditi per accontentare l’illusione partecipativa della plebe.
La frase “Se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare” viene attribuita falsamente a Mark Twain, ma chiunque se la sia inventata dimostra di aver avuto una lucidità cognitiva e una correttezza di pensiero a dir poco invidiabile, e comunque condivisibile.
Grandi festeggiamenti a sinistra, quando nella città X vince il progressista Caio, e altrettanto succede quando nella città Y vince Tizio, candidato del centro-destra. Qualunque persona con un minimo di utilità mentale, con una sufficiente conoscenza della situazione politica e con una indispensabile onestà morale, non può non chiedersi che differenza fa.

La cosa patetica è che sedicenti intellettuali di sinistra farfugliano intellettualismi sulle motivazioni della sempre più ridotta partecipazione elettorale, imputando questa deriva a una loro mancanza nell’intercettare il disagio sociale. Parallelamente a destra, altrettanti fenomeni dalla cultura e dalla preparazione dubbia abbassano i toni del normale conflitto per non irritare la combriccola dei moderati.
L’aumento progressivo di non votanti è quella che il grande Pierre Drieu La Rochelle ha chiamato la “campana morto per la destra e per la sinistra”. E se calcoliamo che questo scritto risale al 1934, possiamo perfettamente riattualizzarlo per la situazione politica italiana.
C’è un dato che interessa la psicologia sociale: la sfiducia, la disapprovazione, l’indifferenza che il popolo percepisce nei confronti delle due vecchie componenti politiche, ormai sfibrate nell’ideologia e diluite nei principi. Entrambe hanno tradito gli ideali che un tempo, nel bene nel male, avevano rappresentato; in più si sono allineate e coperte nella difesa delle voglie più effimere e superficiali.
Mi pare che non serva un curriculum particolarmente raffinato di studi di politica e di economia per rendersi conto che sono ormai alcuni decenni che questa classe governativa non esprime una personalità da statista e una squadra di pensatori. In questo senso, lo stesso La Rochelle, già novantuno anni, non aveva dubbi che “L’opposizione fra destra e sinistra è una farsa, e in essa è tutto il segreto del nostro sistema di governo”.
È la vittoria democraticamente spalmata della mediocrità, del clientelismo e della diserzione da qualsivoglia senso dell’onore e della responsabilità.

In questa atmosfera stagnante, costituita da una pervasiva rassegnazione e da una deprimente mediazione, dove il Politico – per dirla alla Schmitt – non solo è stato neutralizzato, ma addirittura deformato ed esorcizzato, l’unica opportunità di rinascita come popolo e come Stato è l’evocazione di un leader. Quel portatore di energia vitale che sappia coagulare le diverse istanze di cambiamento radicale; quel creatore di un mito verso il quale far convergere le diverse volontà eversive; quel decisore irreversibile che annulli l’ipocrisia del confronto e della mediazione in cambio di una giusta causa comunitaria.
Riconoscere – come ha scritto Jünger – che “Uno dei caratteri peculiari del nostro tempo è che le scene più significative sono legate ad attori insignificanti” non deve essere un fattore di rassegnazione, ma uno stimolo a cambiare regista, attori e copione, rinnovando drasticamente la narrazione della storia contemporanea.