“Stregoni della notizia” li ha chiamati già diversi anni fa Marcello Foa: gli spregiudicati manipolatori dell’opinione pubblica, sia appartenenti agli apparati di potere, sia sostenitori delle opposizioni; in entrambi i casi possono essere talvolta accecati dalla tifoseria ideologica, oppure cinicamente determinati ad istigare odio e reazioni.
La maggioranza di loro, a mio avviso, è portatrice di una vera propria alterazione cognitiva, aggravata inevitabilmente da un’altra serie di fattori prettamente umani, nel senso di non patologici: l’ignoranza, la malafede, la stupidità, la superficialità e via via elencando.
Facciamo qualche esempio. C’è chi imbastisce un pippone tanto spocchioso quanto ridicolo sul fatto che un ministro fumi nel suo studio. C’è chi, con fare presuntuoso, commenta con una giornalista “liberata”, con tanto di precisazioni strategico-militari, il grafico di un gioco da tavola, spacciandolo per le acciaierie Azovstal di Mariupol. C’è chi si inventa l’episodio di un bambino di quattro anni che all’asilo fa il saluto romano, inserendo il fatto della complessa pericolosità di un’educazione da camice nere. C’è chi, condannato per plagio con sentenza passata in giudicato, continua ad essere ascoltato come un oracolo e incensato come giornalista in inchiesta. C’è chi, catalogabile secondo il famoso Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) come soggetto oppositivo-provocatorio – oppure, molto più semplicemente e divertente, assomiglia alla brutta coppia di Pierino di Alvaro Vitali, con la differenza, come già in altra sede sottolineata e in maniera poco educata, che il Pierino di Vitali fa ridere, mentre lui fa cagare – interrompe, deride, squalifica, riduce il contraddittorio ad una farsa degna della sua pochezza. C’è chi pontifica direttamente sulla sua capacità dialettica, sulla sua dantesca pronuncia, sulla sua innata grandezza, mentre, con lo stesso entusiasmo del venditore di pentole o delle tisane miracolose dell’indimenticabile Vanna Marchi, pubblicizza i suoi libri, i suoi spettacoli, il suo giornale e i suoi compagni di merende.
Si potrebbe continuare nell’accurato elenco per fascicoli, ma la cosa potrebbe diventare anche noiosa, seppure di personaggi della cattiva informazione ce ne sono a volontà.
È sempre stato così il mondo delle notizie? Probabilmente sì, ma in maniera limitata per numero, per dignità e per un innato senso del pudore.
Il processo degenerativo dell’informazione è stato perfettamente sperimentato nella farsa pandemica, nella costruzione della cornice emotiva al fine di condizionare i comportamenti di massa. Marcello Foa, nel suo penultimo saggio “Il Sistema (in)visibile”, individua molte cause della scarsa libertà dei comunicatori, ma particolarmente aggravata negli ultimi anni.
Una consuetudine perversa, ad esempio, che nega la regola del buon giornalismo, è quella del “prima pubblico, poi semmai rettifico”, a differenza dei tempi andati in cui prima si verificava l’autenticità della notizia, poi eventualmente la si diffondeva al pubblico.
Un’altra caratteristica dell’attualità giornalistica è il piagnisteo. Tutto è concesso per iscritto e per video, dall’insulto più becero alla più squallida volgarità, in nome e per conto della libertà di espressione. Se poi qualcuno, sia esso appartenente alle istituzioni o un privato cittadino, querela il giornalista, immediatamente scatta la difesa compatta contro l’attacco alla libertà della stampa e alla libera espressione del dissenso.
Sottolinea Marcello Foa: “L’informazione pura si è trasformata sempre di più in un’informazione di intrattenimento, per sua natura leggera e poco impegnativa”. L’inflazione delle notizie fa credere al lettore e all’ascoltatore di essere più colto e più preparato, mentre in realtà è solo molto più impressionabile e plagiabile.
E mentre le redazioni piangono il morto sul tracollo delle vendite, gli ordini fanno finta di niente e si preoccupano dei controlli governativi.