“Molti ignorano quel tarlo mai sincero che chiamano pensiero”, cantava il Guccini idolo della sinistra, purtroppo in un declino di quel pensiero dallo stesso brillantemente difeso e cantato.

Qualunque sia l’argomento in discussione e la questione da risolvere, la sinistra ha sempre delle soluzioni che possono essere o facili o distruttive o comunque oppositive rispetto a quelle di altri interlocutori. Quando non ce la fa neppure a discutere, o pianta casino come è accaduto in parlamento durante la discussione del non letto e poco capito “Manifesto di Ventotene”, oppure manda i picciotti della mafia antifascista ad attaccare fisicamente persone e punti di incontro.

In termini giornalistici, siano essi in ambito cartaceo o in dibattiti aperti, le strategie di distorsione comunicativa sono diverse, ben individuabili dai tecnici, ma molto spesso facilmente assorbibili da un pubblico impreparato e non ideologicamente condizionato.

Ho voluto fare questa breve prolusione per inquadrare, in maniera concisa e mirata, un articolo apparso su “Il venerdì” de “La Repubblica” dal titolo “Il non-caso Monfalcone” a firma di Riccardo Staglianò. Nessuna volontà di critica, ma solo alcune precisazioni di carattere sociologico e politico.

“A meno di ripensare in radice il capitalismo che, da quarant’anni, prospera sui lavoratori globalizzati low cost […] ci vorrebbe una rivoluzione. Quindi, più realisticamente, senza bengalesi niente Fincantieri. Senza Fincantieri niente Monfalcone”. È meglio per il capitalismo, perciò, che le persone vengano sradicate, che i trafficanti vengano tutelati, che i salari possano ulteriormente abbassarsi, che la schiavitù venga definitivamente riconosciuta dalla Costituzione.

“Nel 2015, spinta dalla Regione (Serracchiani) e da Palazzo Chigi (Renzi), l’allora sindaca Pd Silvia Altran accetta un forfait di 140mila euro per uscire dal processo, rinunciando a chiedere un risarcimento nel caso in cui l’azienda fosse ritenuta colpevole”. Prendiamo atto del comportamento struzzesco (neologismo) della sinistra di Capalbio, di Ventotene, della doppia cittadinanza e delle multiple scappatoie della finanza transnazionale, zittita da i miserabili trenta denari.

“Quando Cisint se la prende nel libro col ‘buonismo verso gli arrivi senza controllo di clandestini’ evidentemente non si può riferire alla sua città, dove tutti sono regolari, ma le fa comodo confondere i piani”. Perfetta documentazione della superficialità giornalistica: scadente approfondimento delle modalità di arrivo, non valutabile il numero appurabile di presenze, indifferenza all’illegalità più o meno verificata, incertezza sul futuro più o meno prossimo, impatto disastroso dal punto di vista etnico-sociale, fondati dubbi sul supporto economico alla comunità monfalconese.

“Il problema della nostra comunità è che siamo troppo buoni. Qualsiasi altra, di fronte alle continue provocazioni, avrebbe già reagito”. Adesso provoco io, Hamin: di fronte alla vostra sfrontata presenza, alle vostre condotte incivili, al clima lugubre che avete portato con caftani, niqāb e altre alterazioni comportamentali, un’altra comunità sana, orgogliosa, identitaria e energica avrebbe reagito.

“Tra pochi diritti e tanti schiaffi dalla giunta magari, prima o poi, si stanca”. È l’apoteosi del pensiero omologato del corrispondente di “Repubblica”. Cos’è questa affermazione Staglianò? Un presagio augurale? Una speranza meticcia? Un avvertimento arrogante?

Aveva notato Vladimir Bukowski, osservando i sostenitori del comunismo sovietico – ed io allargo a quello generale – che non esiste il comunista onesto e intelligente: se è onesto, è necessariamente un cretino; se è intelligente, ha sicuramente interessi a esserlo. Il problema grave, non solo della contemporaneità, è trovarsi di fronte a cretini interessati.