Un tempo – osservava il grande logico matematico Odifreddi in una lunga intervista per Ibex Edizioni dal titolo “La miseria degli ‘intellettuali’ moderni” – l’intellettuale era il letterato, lo specialista in specifiche materie, il conoscitore scrupoloso di saperi interdisciplinari. Oltre al documentato valore culturale, questa figura storica aveva necessariamente un’altra indispensabile qualità: il coraggio delle proprie azioni, unito all’indifferenza per il rischio e per l’eventuale conseguenza giudiziaria o amministrativa.

ritratto Piergiorgio Odifreddi in occasione dell’incontro con Tony Craigg in data 9 mag 2017 presso Museo LAC Lugano

Poi, cambiano le condizioni e le mentalità, e ad un certo punto queste personalità dedite al dubbio critico, all’analisi spregiudicata dei fatti, alla denuncia di un malaffare verificato, scompaiono e vengono soppiantate dai giornalisti.

“Fu più male che bene”, nota giustamente Odifreddi: spesso con una imbarazzante infarinatura, scrivono libri su qualunque argomento, fondano premi all’interno della stessa parrocchia, si intervistano a vicenda facendosi reciproca pubblicità, non rispondono delle mistificazioni che diffondono alla massa, si autoreferenziano all’interno di una propria o vicina casa editrice, propaganda spettacoli e incontri attraverso circuiti solidali.

Sempre Odifreddi accenna a Bertrand Russell che finì due volte in carcere e subì pure qualche processo per aver difeso posizioni politiche e sociali non conformiste, e a Noam Chomsky che definì questa accozzaglia di cascami della cultura e di maggiordomi dell’informazione con il termine di “nuovi Mandarini”, in riferimento alla casta di potere della Cina confuciana.

Loro difendono le posizioni inquadrate in una condivisa conventicola, e lo stesso Odifreddi subì le conseguenze della sua disciplina quando, dopo vent’anni di collaborazione, per aver criticato Eugenio Scalfari venne espulso da “La Repubblica”. Fatto, poi, ulteriormente chiarificatore di certi comportamenti che vengono in molte circostanze riversati negativamente sugli altri, è che da quel momento i suoi libri non ottennero più la pubblicità fino a prima diffusa e sostenuta, nonostante lo spessore scientifico degli stessi.

Questa casta autoreferenziale è suddivisibile in tre categorie: gli imbonitori, i predatori e gli opportunisti.

Gli imbonitori sono poco pressati da un pensiero personale e da una minima critica autonoma; essi sono perfettamente adeguati, invece, alla corrente del padrone di riferimento, prima ancora del direttore della testata o della piattaforma audiovisiva. Sono per propria natura predisposti alla servitù, e li trovi, nello specifico, a difendere individui indecorosi e infamanti.

I predatori, dal canto loro, sono caratterialmente più predisposti a intrappolare l’oppositore di turno, non confacente alla propria sacrestia ideologica. Stanano contraddizioni, scovano punti deboli dei tempi più remoti all’attualità, denunziano con foga inquisitoria le più strampalate esibizioni, con l’obiettivo di squalificare di demonizzare la vittima predestinata. Le loro operazioni le spacciano per inchieste, mentre sono soltanto squallide raccolte di gossip.

Gli opportunisti, rispetto agli attivi fraudolenti, sono tendenzialmente ignavi, non prendono posizione e si defilano da eventuali contraddittori. “Sognano sogni di altri sognatori”, per dirla con Gaber, e per cambiare schema interpretativo sono “gli indifferenti” di Gramsci, quelli che aspettano la conclusione degli eventi per dare una coloratura di finta partecipazione alle loro interpretazioni postume.

Grazie ai servi, ai teppisti e ai maggiordomi dell’informazione – e dietro alla loro cortina fumogena di autorappresentazione e di autocelebrazione – viviamo in un’atmosfera di continua manipolazione dentro cui è difficile orientarsi. Altroché miseria degli intellettuali! Peggio del tradimento dei clerici c’è solo la loro farsesca autocelebrazione odierna.