Uno spacciatore viene rimesso in libertà perché a giudizio insindacabile del magistrato la sua attività illecita era l’unica opportunità di sussistenza.
La Corte di Cassazione boccia il decreto che stabiliva la dicitura di padre e di madre e reintroduce il termine neutro di “genitore”.
La sentenza di ergastolo per Turetta stabilisce che le 75 coltellate non sono stati inferte per crudeltà, ma per inesperienza e inabilità.
Un gioielliere viene condannato a 17 anni di carcere e a 480.000 € di risarcimento alla famiglia dei due rapinatori uccisi.
Si potrebbe anche continuare nell’interminabile elenco di come la magistratura – uno dei tre poteri dello Stato –, oltre ad essere esente da ogni tipo di responsabilità in caso di distorsione di giudizio ed errore nelle sentenze, è ormai del tutto presa dalla foga interpretativa e dall’abuso del libero convincimento.
A fronte degli altri due poteri – quello legislativo preposto a promulgare le leggi e imporre le norme, e quello esecutivo con il compito di farle applicare e rispettare – il compito di quello giudiziario è di controllare il rispetto delle leggi e punire le loro violazioni.
L’ultimo atto politico della magistratura è quello che nega la dicitura “padre” e “madre” nella carta d’identità elettronica. Sarebbe discriminante, secondo i giudici, questa espressione. Discriminante di chi? E poi, i termini di “padre” e “madre” in natura derivano da due funzioni diverse e complementari, non riconducibili ad opinioni e ad interpretazioni.
Invece, c’è una vera e propria prevaricazione di una giustizia diversificata nelle spiegazioni e fantasiosa nelle motivazioni, mentre Annina Vallarino, in altro ambito e con altre motivazioni, osserva giustamente che è “imprudente abbandonare il buon senso sotto l’influenza di un’ideologia” – immaginarsi, poi, quando una sentenza nega addirittura la legge di natura.
La volontà generale non è la somma di tante piccole ed egoistiche volontà, ma un’unica volontà condivisa che mira all’interesse comune, aveva scritto Jean-Jacques Rousseau, oltre al fatto che chi viola l’interesse della società “è un nemico della patria, che deve essere soppresso” (in Potere, a cura di Geminello Preterossi).
Passano i secoli, le aristocrazie vengono ghigliottinate, i regimi autoritari o dittatoriali vengono scalzati dal popolo, e finalmente le democrazie, negando la volontà del popolo, con la complicità della magistratura supportano le minoranze e le opinioni contronatura.
I progressisti di ogni genere e grado continuano a predicare che gli insistenti attacchi pretestuosi alla magistratura rischiano di delegittimarla davanti all’opinione pubblica. Si rilascino, nessun problema, la magistratura da tempo immemorabile continua a delegittimarsi autonomamente.
Tra i tanti valori supremi in cui le comunità hanno creduto, quello della giustizia è sempre stato tra i primi posti. Nella contemporaneità in cui si rinnega il passato e il futuro è precario, anche la fluidità della legge contribuisce ad un’atmosfera di diffuso nichilismo. Ma il rischio per il sistema c’è, ed in questo senso c’è un passaggio esplicativo di Jünger che il potere dovrebbe prendere seriamente in considerazione: “Il nichilista non è un delinquente nel senso tradizionale del termine, perché, per esserlo, bisognerebbe che sussistesse un ordinamento ancora valido. […]. Quando il nichilismo diventa una condizione normale, all’individuo non rimane che la scelta fra modi diversi di ingiustizia”.
Che nessuno si meravigli, quindi, se poi nascono salutari e vitali forze autonome che stabiliscono le norme, le leggi e i metodi per farle rispettare.