Analizzare i particolari dell’inaugurazione olimpica è una faccenda complicata e non condensabile in un articolo, però cinicamente divertente è osservare – da terapeutica e aristocratica distanza – i commenti di democratica infarinatura.
Di fronte ad uno spettacolo esteticamente lurido, allegoricamente disonesto ed eticamente ripugnante si mettono in evidenza gli esperti onniscienti delle varie branche del sapere – dall’arte alla simbolica, dalla tradizione ellenica alla comunicazione contemporanea. Mentre alcuni, con la classica tattica partigiana del tirare il sasso e nascondere la mano, negano qualunque riferimento religioso, altri, dall’infima profondità della loro ignoranza, accusano i critici di fomentare astiosità e malessere.
Si passa dalla giustificazione delle perversioni con l’usuale cazzata interpretativa dell’antichità alla creatività dell’arte moderna, senza poter controbattere – in assenza di sufficiente cultura e di onestà mentale – al perché del “trionfo della bruttezza” – per rifarsi a Ruiz Portella – alla “intronizzazione del brutto, dell’anodino, del volgare. […] Del perché il nostro mondo è l’unico capace di piazzare insieme cadaveri e merda nello stesso luogo in cui gli altri mondi mettevano un David di Michelangelo o una Nike di Samotracia”. Ecco, perché?
Perché questa è la democrazia, dove ognuno è esperto di tutto, dove la competenza è un difetto da stigmatizzare, dove “si confonde la libertà di parola con la libertà di dire cazzate” – per dirla alla Massimo Fini, dove il bello è discriminante, il malriuscito è inclusivo, dove il sesso è un’opzione intercambiabile, dove la deformazione è un’opinione e i difetti sono un merito. Ogni certezza è sfuocata grazie a specchi deformanti che alterano il vero e il falso, il carnefice e la vittima, fino all’uomo e alla donna.
Anche nel piccolo, una politica disfattista che non può trasmettere nulla di grande da ricordare negli ultimi settant’anni è impegnata a distruggere, a negare, a deformare la grandezza di uomini e fatti dei decenni precedenti, confermando le parole di Portella che “A chi non si riconosce in niente di grande, nulla di grande lo riconoscerà”.
Che fare? Accelerare il degrado, impegnarsi a fermarlo, attendere la decomposizione? Ciascuno si rifaccia al proprio carattere e goda della fine secondo i propri gusti più appropriati, ridendo comunque dell’effimera ombra dei nani proiettata nel tramonto di questo Occidente.