In un’epoca come la nostra, dove si è perduto il senso della parola e ogni comunicazione, verbale e non, può essere interpretabile secondo le personali percezioni e traduzioni, tentare di definire la figura di Bergoglio diventa un’impresa ardua e scivolosa. Già nei commenti di qualche banalità quotidiana c’è il rischio di cadere nel fraintendimento, a maggior ragione quando si tratta di discutere di sacro, di fede e di vocazione; in più, come nel caso di Papa Francesco, quando l’emotività e il sentimentalismo confondono e inquinano il rigore concettuale e il distacco della ragione.

Innanzitutto, il Papa è considerato il vicario di Cristo, con la conseguente funzione di guida spirituale e di autorità in tema di teologia e di dottrina morale. Rappresentando il vertice del sacerdozio, la sua massima funzione è quella implicita nel termine stesso di sacerdote – ministro del culto preposto a collegare i credenti al sacro attraverso la celebrazione di riti; per altro, la radice sac determina la distanza, ciò che non appartiene agli uomini, il divino. Insomma, il Papa è a tutti gli effetti da considerarsi come il massimo operatore di sacralità, per accompagnare l’ecclesia verso l’alto, verso il trascendente.

La sua funzione – che non è un semplice ruolo amministrativo all’interno di un’organizzazione, ma l’incarnazione di una vocazione, la personificazione di una particolare chiamata – è implicita nell’etimologia del suo statuto religioso: Pontefice, costruttore di ponti tra il visibile (il reale) e l’invisibile (il divino). Sotto molti aspetti, Papa Francesco ha tradito questo suo compito che, in quanto accettato come una vocazione (si spera), doveva essere sentito come non negoziabile con il mondo profano. Invece non è andata così.

È con il concilio Vaticano II che la chiesa inizia la sua opera di rifondazione teologica, introducendo il relativismo con conseguente rinuncia al rigore dottrinario.

Qualcuno ha scritto che Bergoglio ha rappresentato l’amore, rinunciando all’ortodossia religiosa. Ad osservare bene i suoi comportamenti, non è proprio così.

James Hillman, comparando il mondo degli Invisibili della psiche e della religione, e della loro espulsione dalla vita dell’uomo, ha accennato proprio al problema che ha colpito la chiesa cattolica, quando “La nuova Chiesa razionalizzata è andata ridimensionando il regno invisibile, assoggettandone l’immaginazione a criteri storicisti”. Detto in termini più prosaici: la chiesa è passata dal sacro alla sociologia, e il suo rappresentante da funzionario del sacro ad assistente sociale.

Sul fatto che Papa Francesco abbia abdicato alla teologia è una imprecisione facilmente contestabile. Bergoglio è stato il rappresentante di una “Chiesa sovversiva” alla quale Renato Cristin ha dedicato un capitolo esemplare, Pauperismo e comunismo: la teologia della sovversione e della rinuncia, nel suo saggio I padroni del caos.

Lui è stato il massimo teologo della liberazione della nostra Europa. Importato dall’esperienza militante in America Latina, dove il gesuita Ignacio Ellacuría scriveva che “una misericordia non è contraria alla lotta alla passione per la giustizia, perfino all’uso della violenza. Tale misericordia può comportare una giusta collera. […] una Chiesa liberata nell’azione liturgica”; o il vescovo Pedro Casaldáliga il quale sosteneva che “si possa essere cristiani solo essendo rivoluzionari […].

Basta leggere i testi dei suoi mentori di riferimento, di coloro che incitavano alla “lotta violenta ed armata per la giustizia che può essere lecita e persino obbligatoria, indipendentemente dall’essere più o meno una lotta di classe”; a “impegnarsi nel conflitto e collaborare coraggiosamente a tutte le lotte di liberazione delle persone, della società della Chiesa stessa”; ad “insorgere dal di dentro, dobbiamo collaborare all’insurrezione della società, adagiata nell’ingiustizia, e all’insurrezione della chiesa, semper renovanda” per capire le basi ideo-teologiche del Bianco Vestito.

Prima di contorcersi in ipocrite commemorazioni, e in altrettante viscide celebrazioni, bisognerebbe avere chiaro di chi si sta parlando. Bergoglio è stato il portavoce di quella teologia della liberazione che ha concorso e concorre allo sfacelo identitario ed etico dell’Europa e che “benedice pure una strategia immigrazionista dalle conseguenze disastrose”. La sua vicinanza a personaggi inquietanti, moralmente discutibili e ufficialmente pregiudicati lo rende a tutti gli effetti il curatore fallimentare della Chiesa Cattolica. È stato a tutti gli effetti un uomo politico spregiudicato e senza esitazioni, cooptando vescovi e cardinali vicini alla sua linea, allontanandone altri fino ad arrivare alla scomunica di Carlo Maria Viganò.

Ha tradito la vocazione mistica per il sacro ed abbracciato il ruolo blasfemo del sociologo progressista. Che riposi in pace, ma evitiamo questi irriverenti segni della croce.