“I nostri bisogni vengono risvegliati dalla pubblicità. […] Qui da noi la produzione delle opinioni precede i fatti – ecco perché la pubblicità, a sua volta intrecciata con la statistica, è una disciplina così importante”.

Correva l’anno 1983 quando Ernst Jünger esprimeva questo giudizio nel suo saggio “Il problema di Aladino”, anticipando di trentasei anni il fenomeno dell’influencer e l’entrata di questa figura nei percorsi universitari.

Lui, il profeta dell’avvento della tecnica, il visionario dell’Anarca e il sognatore del Ribelle, aveva intuito con l’usuale sensibilità del sismografo, i movimenti sociali e politici che si sarebbero concretizzati al massimo della potenza nel terzo millennio.

Li aveva identificati, è vero, ma non si era limitato a denunciarne la pericolosità o a stigmatizzarne il potere di suggestione, e neppure a suggerire una possibile resistenza o fuga – “la parola diserzione non mi suona bene”.

Nei suoi scritti ci sono spunti di attivismo nell’affrontare queste nuove sfide; suggerimenti di azione interiore per cavalcare la tigre della tecnica e del progresso senza farsi disarcionare e finire sbranati dalla stessa.

Le scontate prese di posizione contro questo nuovo elemento di modellamento della realtà sanno di rassegnazione: scandalo, recriminazione, repulsione. Tutti atteggiamenti inutili, segnali di impotenza e di rinuncia di fronte all’inevitabile.

 

L’uomo ha in sé gli strumenti per immunizzarsi dai condizionamenti esogeni: “La sua interiorità è infatti il vero e proprio tribunale di questo mondo; e la sua decisione è più importante di quella dei dittatori e dei tiranni” e del marketing.

Due sono le vie per affrontare questa condizione ormai ritenuta scontata nel paesaggio della realtà attuale: ritirarsi con “freddezza” dai tentativi ipnotici della propaganda, oppure scoprire i suoi punti deboli per poterli convertire a proprio favore.

In entrambe le condizioni, il dispositivo fondamentale che permette di avere lo sguardo lucido nell’analizzare la realtà e il comportamento adeguato nel farle fronte è il lavoro interiore.

In questa “età dei Titani”, dove si passa dal controllo pervasivo ed intimo delle singolarità all’indifferenziazione di massa – e sulle due opzioni agisce la strategia pubblicitaria – è al singolo che rimane il testimone della non collaborazione con il sistema.

Egli può usare tutti i travestimenti, ogni forma di mimetismo, con lo spirito pragmatico che “vede ciò che può servire a lui”. Senza alcun fanatismo, né la minima traccia di fondamentalismo, e neppure alcuna sbavatura moralistica, non si attacca a presupposti fintamente etici, si aggancia ai fatti e su questi agisce.

L’uomo integrale, radicale e spregiudicato, evita di giudicare l’opportunità o la probità del fenomeno influencer: egli analizzerà, interpreterà ed procederà secondo la propria sovranità interiore; giocherà la sua partita svelando i trucchi dei bari.