“Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male”, cantava Fabrizio De André, ma il fatto che il crimine si sia diffuso e si stia diffondendo anche nelle medie e piccole città non giustifica il patetico ottimismo del “mal comune, mezzo gaudio”.

“Se Atene piange Sparta non ride”, tanto per continuare con citazioni introduttive. Se Udine è nei guai fino al collo per la diffusa criminalità di strada, non è che Trieste se la passi meglio con baby gang di stranieri. A questo punto un pensierino è giusto dedicarlo anche a Monfalcone, che con il suo oltre 33% di allogeni crede di essere esente da problematiche di legalità.

Un’amica e concittadina, Patrizia Dominutti, è stata scippata in pieno centro da un ragazzo con un amico di supporto; il 23 luglio, intorno alle 23:00, il sottoscritto è stato circondato da un gruppo minaccioso di ragazzi all’altezza della gelateria Frel: tutto risolto brillantemente con un vecchio metodo. Un ragazzo disabile viene massacrato per futili motivi, mentre una serie di furti in appartamento si sono verificati in pieno centro. Gruppi di ragazzi strafottenti e provocatori si aggirano per le vie più defilate.

Alcuni dei numerosi episodi che finiscono con denunce circostanziate e che, qui e dovunque, vengono artatamente oscurate o distorte dai mezzi di informazione.

Questa condizione di emergenza diffusa è denunciata in altri termini, e con diversa gravità, da Federico Rampini, in riferimento agli Stati Uniti in cui vive come cittadino.

Per altro, molto circostanziata la lettera che la signora in questione ha inviato al Sindaco e al Presidente della Regione, e che sottintende la stessa preoccupazione esplicitata da Rampini e normalmente presente in tutte le persone di buon senso e non accecate dall’ideologia: che fare per evitare una deriva di pericolosa illegalità?

Un clinico di fama dei miei tempi, tale prof. Rasario, in un testo fondamentale di semeiotica avvertiva che il medico compassionevole rende la piaga infetta.

Questo avviso vale per i politicanti da strapazzo, per i sofisti della psicologia, per i sociologi del vogliamoci bene, per i caritatevoli dalla parola buona e dal gesto affettuoso, per i giudici dal cuore generoso.

In una comunità di 30.000 abitanti, questi segnali non sono da sottovalutare e da minimizzare. Qui non c’entra nulla il disagio interiore o la frustrazione dell’emarginato, ma è l’organizzazione illecita del controllo del territorio da prendere seriamente in considerazione.

I sintomi del male ci sono, la diagnosi è fattibile, per la terapia c’è bisogno di una comunanza di intenti.

Non occorre scomodare Hegel e la sua “Scienza della logica” per prendere atto che se la sostituzione etnica a Monfalcone è pressoché compiuta con pochi margini di inversione, gli aspetti criminogeni possono e devono essere trattati prima che sia troppo tardi.