<<Io sono un bugiardo di professione. Io devo trasformare una vecchia bugia in una bugia nuova, e così facendo seppellisco la verità ancora più in fondo. […] E quindi, questa completa devozione che noi propugniamo, non fa altro in realtà che trasformare gli uomini in pecore>>, ammise Sagajdak, funzionario dell’ufficio politico sovietico, nello splendido romanzo di Jurij Družnikov “Angeli sulla punta di uno spillo”.

Passa il tempo e cambia il contesto, ma i servi dell’impostura del potere sono sempre attivi sulla scena della falsificazione della verità e, nel nostro caso, definito con proprietà interpretava “Comunismo pandemico” da Alessandro Rico (La Verità, 1/11/2022).

Salta fuori Michele Emiliano, che respinge le decisioni governative, a simbolo negativo della versione totalizzante della menzogna vaccinale.

E poi altri biliosi come Ramuzzi, Ricciardi, Burioni, Antonio Ferro, Andrea Crisanti, Nino Cartabellotta e via via elencando.

Un’accozzaglia di negazionisti che rifiutano in chiave bolscevica una realtà documentata da due anni. Una oggettività scientifica ormai ammessa a livello internazionale, ma che ha permesso di porre in essere delle operazioni pseudosanitarie favorenti interessi economici personali e di organizzazioni della portata di miliardi di euri.

La sostanza iniettata non era un vaccino, non dava immunità, i vaccinati infettavano, gli effetti avversi e le morti sono stati ammessi e le ripercussioni a medio e a lungo termine sono, purtoppo, ancora da verificare, i vaccinati si ammalano di più per indebolimento del sistema immunitario.

Sanitari – per volontà, per ignoranza, per cieca ubbidienza – che rinunciando alla basilare autonomia di giudizio, con metafisica accettazione delle imposizioni governative, si sono ridotti a fedeli sacrestani dei tenutari del potere politico. Hanno creduto nella scienza – è vero – solo che la scienza non è un atto di fede, ma un processo di conoscenza, di dubbio, di fallibilità, di verifica, di prudenza, contingenza. Come ha perfettamente osservato Ivan Cavicchi nel saggio “L’evidenza scientifica in medicina. L’uso pragmatico della verità” (Ed. Nexus, 2020), i medici si sono abbassati a “proceduralisti”, a “riduzionisti”, a mistificatori di una presunta certezza scientifica, a “designatori rigidi” di discutibili protocolli, a veggenti dell’“effetto oracolo”.

Si sono prestati ad accettare l’abominio giuridico chiamato “scudo penale”, pur di eseguire prestazioni di dubbia validità, prima, confermata dalla certezza dannosa, poi. Hanno accettato degli indirizzi di intervento e delle pratiche sanitarie totalmente ingannevoli, dimostrando alla fine – come sottolinea Cavicchi – “che chi si attiene acriticamente alle linee guida non fa l’interesse del proprio malato, e chi non fa l’interesse del proprio malato non può essere definito un buon medico”.

Ora, senza la minima autocritica, senza il lievissimo senso del pudore, senza la più pallida emozione di vergogna, si scatenano contro i ripensamenti governativi, reclamando ritorsioni contro i colleghi che in tutto questo periodo si sono impegnati per il bene dei pazienti e per la verità clinica.

Comunque vada, per dirla alla Giorgio Gaber, fate più schifo che spavento, qualunque sia la vostra rabbia per il personale fallimento professionale, etico e civile.