Questa anomalia della contemporaneità è variamente diffusa e distribuita tra una destra, un centro e una sinistra pressoché indistinguibili nella melassa politicante.

“La maggior parte della gente crede di pensare perché ignora il significato dei termini che adopera. Basta presentare una definizione al più loquace di loro perché ammutolisca”, precisa Gómez Dávila, ma la situazione attuale nel campo della comunicazione è molto più grave di quanto prospettato dal filosofo e intellettuale colombiano. Per certi versi, con il rispetto dovuto, in questo suo aforisma scorgo addirittura una percentuale fastidiosa di ottimismo, in considerazione della quotidiana verifica che anche di fronte alla più scioccante verità la maggioranza delle persone invece di tacere attacca, offende e diffama.

Quelle caricature democratiche di “opinioni a confronto” chiamate con il termine di talk show – per usare il linguaggio degli occupanti – sono la dimostrazione del fallimento irreversibile del contraddittorio di spessore per la grossolanità dei contenuti e la prevalenza della maleducazione espositiva. L’arroganza, la presunzione e un solido narcisismo caratterizzano molti personaggi della comunicazione soprattutto televisiva. Da Scanzi a Giannini, da Sommi a Floris e via via elencando: gli argomenti sui quali pontificano spaziano in una ridicola fantasia di onniscienza. Dalla geopolitica alla riforma della giustizia, dagli interventi sulla scuola alla ridicola questione climatica, dalle questioni sanitarie a quelle tecnologiche, loro parlano di tutto con fastidiosa sicumera.

Ovviamente i ragionamenti spesso vacillano per consistenza, allora l’attacco viene portato alla persona, cortocircuitando argomenti e contenuti. Ecco, allora, che Putin diventa un criminale, Trump una folle caricatura, Musk un pericoloso psicopatico, Almansri una carogna, una merda umana, fino ad accuse gravissime e specifiche come quelle rivolte a Giorgia Meloni da quel fenomeno da baraccone di Saviano che ha detto testualmente: “Meloni è sotto estorsione in quanto sa di essere alleata ai cartelli criminali libici”.

Una arroganza esplicitata nell’attuale difesa ad oltranza di quella magistratura che il Presidente Emerito della Repubblica, in una intervista rilasciata il 19 gennaio del 2008 al Corriere della Sera, descrisse come predisposta alla politica delle trattative, perché “Alla disciplinare del CSM non trattano? Se mi condanni quello non ti assolvo quello. Era così quando ero presidente. E credo che ora sia peggio”. Nel contempo, definiva l’Associazione Nazionale Magistrati come “un’associazione sovversiva di stampo mafioso”, rivendicando l’invio dei carabinieri antisommossa davanti alla sede del CSM per eventualmente invaderla.

Niente di speciale queste continue squalifiche da parte di certa informazione. Dall’alto della loro autoproclamata moralità, i sinistri non sanno cosa farsene di interlocutori preparati e competenti: loro, per una questione di superiorità, non possono che considerarsi automaticamente esentati dal dubbio. Il problema da superare, per gli altri, è l’irritazione che la loro ottusità e volgarità provocano. Possiamo superare questa seccatura seguendo una indicazione dello stesso Dávila: “Le opinioni stupide smettono di irritarci se li ascoltiamo come documento su colui che opina”.