È lui: quello che dev’essere spernacchiato quando passa per strada, quello che da bambino riferiva alla maestra il nome di chi aveva incollato il registro di classe, di chi aveva tirato con la cerbottana le Golia succhiate e inchiodate con lo stuzzicadenti, che impediva di copiare il compito in classe nascondendo il foglio e sistemando il braccio sul banco a novanta gradi.
È lui: quello che si aspettava in cortile per il riposo dopo la campanella e al quale si spalmava la marmellata sul grembiule, si nascondeva la cioccolata nelle tasche del cappotto messo vicino al calorifero, si versava l’inchiostro del calamaio in uno delle tasche della sua ordinatissima borsa.
È lui: quello sfigato che nei festini del sabato pomeriggio era l’addetto a cambiare i dischi nel grammofono, che non cuccava neanche se la mamma lo sistemava con il vestitino della festa, che era pronto a sputtanare l’amico sperando – inutilmente – di pomiciare con la ragazza del denigrato innocente.
È lui: quello che – passati gli anni e cambiati i luoghi – denunciava i vicini di pianerottolo perché ascoltavano “Radio Europa Libera”, perché la nonna faceva il rosario e magari pregava a voce alta, perché il conoscente leggeva Pasternak, scorreva i samizdat di Solzhenitsyn, solidarizzava con Sinjavskij e Daniel.
È lui: quell’informatore dei servizi italioti che incastrava innocenti per la giustizia di regime, che sibilava notizie taroccate per soldi o per narcisismo, che stendeva rapporti e schede per la leccaculaggine del potere, che si posizionava viscido al buco della serratura della intimità altrui.
Quello della mano moscia – esempio prensile della restante moscità –, dell’andatura strascicata, della bavetta agli angoli della bocca, dell’eloquio mellifluo e dello sguardo lombrosiano sfuggente.
Quello che all’ora dell’aria finiva con la testa nella tazza del cesso – a volte con il corpo a parte – rinnegato da Dio e dagli uomini.
Ora no! Ora questo fa il ministro che invita alla delazione, gesto ignobile che veniva stigmatizzato anche nei bambini.
Auspica lo spionaggio di pianerottolo, la soffiata di condominio, la spifferata dal balcone.
Ha in odio il coraggio, la felicità; farebbe il tifo – se lo avesse letto – per il maiale Napoleon di Orwell; ama li striscianti, gli sbavanti, i subdoli.
Che differenza di tempi e di uomini!
Ai nostri tempi sarebbe stato il bersaglio delle peggiori rappresaglie, emarginato senza remissione, schifato anche dal suo protettore.
Se pensa – forse sto esagerando: pensare? – che noi accettiamo i suoi viscidi suggerimenti si sbaglia di grosso. Lui vuole stanare i trasgressori, noi staneremo i delatori: vediamo chi l’avrà vinta. In dignità certamente noi.