Alika Ogorchukwu, nigeriano, 39 anni, ambulante di accendini, chiedeva l’elemosina, è morto nel pieno centro di Civitanova Marche, ucciso da un italiano seguito dai servizi psichiatrici per una grave patologia, visto che la madre risulta essere la sua tutrice.

Yuan Cheng Gau, di 56 anni, commerciante cinese, aggredito a colpi di martello nel suo negozio, e il cliente bulgaro intervenuto in sua difesa ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Avellino. L’assassino si chiama Robert Omo, 24 anni, nigeriano senza fissa dimora, espulso da Malta per aver abusato sessualmente di una cavalla.

Immediata la reazione organizzata – non spontanea – della comunità nigeriana, il cui rappresentante, Amanze Daniel Chibunna, in una lunga intervista, denuncia l’intolleranza e il razzismo fomentato da “certi” politici, l’indifferenza della cittadinanza, le difficoltà economiche, la paura per la propria incolumità: una omelia di lamentosità.

Premesso, come sempre, che non sono un sentimentale, ma un semplice analista della realtà nelle sue dimensioni sociali e relazionali, sicuramente alcuni spunti di riflessione meritano di essere precisati.

Innanzitutto, la velocità e la compattezza della comunità nigeriana nel chiedere giustizia per Alika, mentre si è distinta per un silenzio equivoco quando Innocent Oseghale, 32enne pusher nigeriano ha assassinato Pamela Mastropietro “con violenza gratuita” e “scempio bestiale”, secondo le parole del giudice. Né si è fatta sentire per solidarizzare con la comunità cinese dopo il feroce assassinio perpetrato dal citato Robert Omo.

Poi, un’affermazione fatta da Chibunna: “Un complimento ad una donna non può essere preso male”. E qui merita citare alcune osservazioni di Pascal Bruckner nel suo pregevole saggio “Un colpevole quasi perfetto. La costruzione del capro espiatorio bianco”: “Uno stupratore proveniente dal Sud del mondo non è veramente uno stupratore perché gode di circostanze attenuanti”, e cita l’islamista Houria Bouteldja che afferma: “Se una donna nera viene violentata da un nero, e comprensibile che non sporga denuncia per proteggere la comunità nera”. Riassunto: se i bianchi tacciono sono complici del razzismo, se i neri tacciono sono solidali con l’etnia; se un bianco fa un apprezzamento è molestia, se un nero fa un apprezzamento è cultura.

Per l’ennesima volta, anche di fronte ad un evento tragico, ci troviamo di fronte alla doppia morale progressista, che in nome del mito terzomondista favorisce l’immigrazione e, con essa, la povertà generalizzata, creatrice di sacche di indigenza e di criminalità.

Con un paternalismo da cattiva coscienza, si stigmatizza la violenza di Traini, ma si nasconde il fatto che Gideon Azeke, uno dei feriti poi fuggito dall’ospedale, già noto come pusher, venne arrestato subito dopo per resistenza, violenza privata e spaccio.

Se è vero che i nigeriani in questione hanno paura del razzismo, è altrettanto vero che le varie comunità residenti hanno anche paura della violenza nei propri confronti.

Il piagnisteo bianco e nero serve solo a coprire le reciproche responsabilità.