In Electomagazine.it – 17 agosto 2022
In questa contemporaneità, caratterizzata dalla retorica ambientale, dalla difesa della foca monaca, dalla tutela animalista e dalla salvaguardia ittica, l’unico crimine perpetrato che non trova uno straccio di difesa d’ufficio è quello nei confronti della gioventù. Anzi, in nome di una male interpretata garanzia dei bambini e protezione dell’infanzia si stanno consumando delle frodi e delle manipolazioni che definirle disoneste è solo un pallido eufemismo.
La prima scusa addotta è l’allungamento della vita media e, di conseguenza, un prolungamento dell’adolescenza e un derivante ritardo nella responsabilità della vita adulta. Tanto per fare un esempio, nell’antico tempo romano i giovani abbandonavano la toga pretesta per indossare quella virile verso il diciottesimo anni di età e l’entrata, dunque, nella società delle decisioni pubbliche. Secoli dopo, ragazzini come Giotto venivano sistemati “a bottega” per un serio apprendistato. Oppure un Prezzolini che abbandona il liceo, studia e scrive per conto proprio e a 21 anni fonda una rivista. Per non parlare di famosi generali e condottieri che meno che trentenni avevano già conquistato popoli e territori.
Anche parte del XX secolo è caratterizzata dall’esaltazione della gioventù nei vari regimi presenti, quale terreno fertile di progetti, di ideali, di destini: in una parola di volontà di potenza, quindi di rischio e di avventura.
Poi, arrivò il ’68, e con esso la nascita di un nuovo soggetto antropologico: il giovane. Così, le istanze rivoluzionarie – per quanto velleitarie, utopiche e magari confusionarie – vennero astutamente incanalate nella normalizzazione capitalista. Nacque la musica giovanile, la moda giovanile, la letteratura giovanile, il marchio giovanile: tutto annacquato nel calderone consumistico.
Il desiderio rivoluzionario venne sedato dalla gratificazione delle voglie, creando due tipologie sociali: i riusciti conformati e i falliti inadeguati. I primi, resilienti – secondo la terminologia corrente –, quindi sedotti dal sistema; i secondi, refrattari, perciò sorvegliati dallo stesso oppure sedati dai surrogati di gratificazione. In entrambi i casi, impotenti e inermi.
La popolazione invecchia, è documentato, ma meno rilevanza si dà al fenomeno dell’invecchiamento giovanile. Perché se giovinezza vuol dire energia, determinazione, passione, imprudenza e fantasticheria ambiziosa, tutte e due le categorie elencate hanno ampiamente rinunciato a queste istanze di vita. Da un lato, per un accomodamento ai valori dominanti, subdolamente ammantati da un pacifismo accattone e da un umanitarismo untuoso; dall’altro, con una rassegnazione che può seguire o l’autolesionismo fisico e psicologico, oppure l’inconcludente rabbia devastatrice. In ogni caso, un generalizzato fallimento dei sogni e della vita stessa.
La sedicente pandemia è stata la cartina tornasole di questa massificata sconfitta generazionale: il nichilismo passivo ha trionfato e, con esso, la sconfitta di quella volontà creativa di destino che da sempre è stata appannaggio delle giovani leve.