Era il 2014 quando uscì, per Mimesis, il saggio “Dal Leviatano la salvezza”, frutto di un seminario condotto presso l’Università di Gorizia al corso di Scienze Internazionali e Diplomatiche, e a quel tempo le bande giovanili – le baby gang di formazione soprattutto sudamericana – erano dei fenomeni pressoché assenti sul territorio nazionale. In anni molto lontani si erano verificate pallide imitazioni di due sottoculture giovanili antagoniste – i Mods e i Rockers –, con risse clamorose per una rivalità prevalentemente estetica e musicale, poi dilatata a stili di vita e visioni del mondo. Roba da “Ragazzi della via Pal” o da “Guerra dei bottoni”. I primi due gruppi, infatti, avevano quasi un’impronta politico-filosofica nell’impostare i propri atteggiamenti esistenziali; le baby gang, pur nella diversità delle motivazioni aggregative e nelle manifestazioni antisociali, hanno tutti la caratteristica dell’aggressività generalizzata e della violenza gratuita.
Nell’ampio magazzino dell’interpretazioni psico-sociali per inquadrare la genesi di queste formazioni e il loro sviluppo nel contesto cittadino, si passa dal disagio familiare alle problematiche prettamente psichiatriche, della carenza culturale ed educativa alla ricerca di un’identità personale ed etnica, dal senso di sradicamento alla voglia di comunità.
Aldilà delle più serie e concrete analisi e diagnosi, resta il fatto che queste bande, prettamente dedite ai più svariati reati – violenza privata, danneggiamento di beni pubblici, scippi, rapine, spaccio di sostanze stupefacenti ed altri vari ed eventuali reati – sono un problema per il singolo e per il territorio di appartenenza.
Nel saggio citato, ci si poneva una semplice domanda: la libertà individuale è quella concessa con la garanzia dello Stato – che Hobbes rappresenta proprio come il terrificante animale marino della Bibbia – oppure è necessario liberarsi dalle tutele e decidersi per una propria ragionevole libertà?
A causa dei reati diffusi e dell’insicurezza giustamente percepita, da un po’ di tempo sono nate e si diffondono delle ronde, che si rifanno all’Articolo 52 del codice penale che interessa la difesa personale.
Apriti, cielo! I fascisti alla caccia degli immigrati. Non ci si può fare giustizia da soli! Fermiamo i linciaggi contro la civiltà! Non riduciamo l’Italia a un Far West! E via con altri esilaranti indignazioni e recriminazioni. Ma restiamo ai fatti. Un semplice esempio documentato dal quotidiano “Il Giorno” il 1° aprile: “I rondisti incappucciati con un blitz veloce e prepotente hanno fatto scappare a gambe levate una banda di circa 15 spacciatori nordafricani, che seminano il terrore e il panico nel quartiere”. È un bene o un male, infidi difensori della defezione suicida?
Ci sono decine di casi in cui, con intervento rapido, improvviso e decisivo, si sono evitati reati e puniti quelli avvenuti. Per i benpensanti, ipocriti e miserabili come tutti i piccolo-borghesi, questi comportamenti sono semplicemente criminali. Per gli altri, e non sono pochi, è la manifestazione di una vitalità, di una voglia di riprendersi dignità e territorio, di una volontà a non sottostare alla rassegnazione di “una società non soltanto malata, ma del tutto assurda, ridicola e tragica, come un ritratto di un clown triste”, secondo la perfetta descrizione di Jack Donovan.
Vediamo questa rete “Articolo 52” come forma di reazione sana al malcostume, alla criminalità e alla sopraffazione che ha determinato un effetto paradossale: il coprifuoco degli onesti, autoconsegnati a domicilio dalla prevaricazione esterna dei farabutti. È l’organizzazione degli insoddisfatti e dei ribelli che prendono le distanze dal gregge mansueto già estratto al tempo della pandemia. È un’organizzazione non adatta al “moderno individualista – diciamo pure il moderno egoista – che è solito parlare di ciò di cui parlano tutti mentre tutti ne parlano, opera in una comfort zone fatta di norme sociali […] è un troll, un disturbatore, un parassita [che] va scansato e disprezzato”, per condividere fino alla fine le suggestioni del Donovan citato.