Potremmo riportare anche altri sinonimi come fantastico, onirico, assurdo, incredibile, delirante, utopistico, paradossale, inverosimile, farneticante ecc., ma resta il fatto che questa atmosfera è senza dubbio, una delle situazioni più alienate che un essere pensante abbia vissuto almeno negli ultimi trent’anni di vita.

“[…] per lo stato non è affatto un male grave, se dei ciabattini si fanno mediocri, si guastano e pretendono di essere ciabattini anche se non lo sono. Se però i guardiani delle leggi e dello stato non sono veri guardiani pur sembrando di esserlo, tu vedi bene che mandano in piena rovina lo stato tutto e che, d’altra parte, e soltanto da loro che dipendono la buona amministrazione e la felicità” (Platone, p. 229, IV, 421a).
Se c’è qualcuno che riconosca la presenza di buoni guardiani delle leggi, che sottoscriva la loro capacità amministrativa, che garantisca per la loro integrità morale, che avalli le loro competenze intellettuali, si faccia avanti e faccia dei nomi attendibili.
A guardare con la dovuta distanza terapeutica, come si fa di fronte a una contaminazione o a uno stato infettivo, quello che si può rilevare è una continua dismissione di potere dello Stato a favore di entità anonime, o comunque inafferrabili.
Questo per quanto riguarda quell’istituzione che continuiamo a chiamare Stato, ma che in realtà è soltanto una rete di apparati tecnico-economici che gestiscono gli affari pubblici e contemporaneamente cercano di soddisfare le voglie indistinte dell’individuo massificato.
Altro è se parliamo di “mondo”, quello che il generale Vannacci definisce “al contrario”. Magari fosse solo al contrario! Una condizione che si rende opposta ad un’altra condizione ha ben visibili delle caratteristiche e delle direzioni antagoniste, che comunque permettono una rettificazione.
Il contrario di male è bene, di bello è brutto, di onesto è disonesto, di buono è cattivo: potremmo continuare nel confronto di concetti discordanti che però non è solo una semplice contrarietà tra idee opposte tra loro ma, nel caso dell’atmosfera denunciata, siamo di fronte proprio ad una antinomia, ovvero una compresenza di assunti antitetici e razionalmente inconciliabili.
Da ciò nasce la difficoltà di intervenire, indifferentemente come, per far prevalere una propria visione del mondo. Perché il mondo – giocando sui significati proposti da Salvatore Natoli – non esiste più. Il “mondo” quale “universo di senso a cui si appartiene – e di cui si è dunque parte –, che motiva le azioni, che è fonte di valutazioni morali, criterio di giudizio” si è disgregato in un caos indifferenziato.
La bolla entro cui siamo immersi è caotica: i pensieri sono sgangherati, le idee sono confuse, i principi sono debilitati, gli stessi giudizi di valore sono sfuggenti.
Se si analizzano quelle due categorie che per comodità di comprensione definiamo “destra” e “sinistra”, non occorre entrare nei particolari per rendersi conto della loro inconsistenza, senza alcun ordine interno né, quindi, una forma specifica di distinzione.
Questa melassa indistinta di slogan, di gossip, di pettegolezzi e di incrociate maldicenze, diffuse ad arte da piccoli personaggi dell’informazione, gonfiati dalla pubblicità e dagli stessi mass-media di cui sono parte integrante e perfetti maggiordomi, dimostra la vittoria indiscussa di quella che da più parti e da più tempo viene intesa come una battaglia delle parole, perfettamente traducibile in ingegneria semantica. Ciò configura, per la perdita del numero dei vocaboli e l’inconsistenza dei corrispettivi significati, una totale impossibilità ad elaborare un’idea formata e compiuta.
Del resto, quest’operazione è stata compiuta con sottile e intelligente strategia proprio da quel neoliberismo che ha negato con fatti e parole il valore delle ideologie, spacciate come antiquate e pericolose.

Aleksandr Zinov’ev, nel suo splendido romanzo dal titolo “Umanaio globale”, già denunciava nel 1997 la lenta usura di quell’Occidente i cui abitanti venivano definiti con il termine di “ovestoidi miti”. L’organizzazione preposta a raggiungere il controllo minuzioso e pervasivo del singolo suo cittadino, quel “mite” che “Coltiva un sistema di valori terreni, pratici, meschini dal punto di vista morale”, aveva pensato bene di portare l’uomo occidentale alla più servile dipendenza dalla mentalità più sottomessa, cosicché, alla fine, “Quest’uomo è una dolce marionetta in balia dell’invisibile macchina ideologica, che li fa credere, fra l’altro, di essere libero da qualsiasi ideologia”.
La perversione del linguaggio è stato lo strumento principe per raggiungere questi risultati, e questo stesso l’artefice della deformazione della stessa idea di cultura, tanto che sempre Zinov’ev annota come “La cultura nazionale scade a un livello pietoso. Il suo posto viene occupato dai campioni più primitivi di cultura, o meglio, di pseudo cultura occidentale. […] L’umanità nel suo insieme e i singoli individui non sono affatto diventati più intelligenti, dotti e colti. L’ignoranza e l’oscurantismo hanno toccato livelli mai riscontrati nemmeno nel Medioevo”.

Parafrasando Carl von Clausewitz, la politica è una guerra condotta con altri mezzi, e uno dei mezzi sono proprio le idee, le armi indispensabili per l’agire politico, come ha giustamente ha sottolineato Marco D’Eramo in una vecchia intervista di presentazione del suo saggio “Dominio”. Forse questo è il punto affrontato da D’Eramo e sul quale si dovrebbe riflettere. La ripresa dell’arma ideologica per affrontare la devastazione prodotta dal neoliberismo, che ha dissanguato l’anima e lo spirito sia della destra e della sinistra, riducendo la prima a vuoto simulacro di un patetico conservatorismo, e la seconda a pietoso isterismo per le battaglie più becere e inconsistenti. Entrambe le posizioni fanno “finta di essere sane”, per ricordare Gaber, inconsapevoli della miserevole fine rispetto ai reciproci passati.