Tutti fanno errori in alcune scelte della loro vita e per me, uno di questi, è di aver apprezzato a lungo questo insegnante molto seguito sul web e di aver anche gradito alcuni dei suoi libri divulgativi nel campo filosofico.

Simpatico nell’approccio, molto chiaro nell’esposizione, sicuramente acuto in molte delle sue interpretazioni, lo consideravo un po’ un Bignami da ascoltare in momenti liberi della giornata.

Lentamente, ma con costanza, ho potuto constatare una deriva ideologica da parte dello Stesso, un arroccamento su posizioni politiche tutte particolarmente permeate di faziosità e di settarismo.

Uno dei suoi ultimi video che conferma questa patetica deriva riguarda Galli della Loggia e un suo articolo riguardante il progressivo degrado della scuola dal punto di vista della sua funzione culturale ed educativa.

Tutto nasce da alcune affermazioni di della Loggia sul disastro della selezione, sul fallimento del sostegno, sulla rovina dell’inclusività e sull’insuccesso complessivo dell’integrazione.

Essendo Matteo Saudino insegnante di filosofia, mi verrebbe spontaneo affrontare le sue enfatiche argomentazioni proprio seguendo lo schema della retorica classica, ma per esigenze tecniche e di più ampia comprensione, mi limiterò a contestarle in maniera più semplice possibile.

La questione fondamentale, prima di tutto, è focalizzare l’attenzione su quel termine – inclusione – che è diventato un mantra irritante nell’affrontare qualunque discorso. Tutto deve essere inclusivo – lo studio, il linguaggio, lo sport, la didattica, i più diffusi ambiti sociali, affinché nessuno venga stigmatizzato e l’accessibilità sia un diritto riconosciuto in maniera indiscriminata.

Già questa impostazione comporterebbe un approfondimento radicale e approfondito. Secondo il docente, nessuno dovrebbe essere escluso, nessuno dovrebbe essere bocciato, nessuno dovrebbe essere condotto a un comportamento di disciplina, nessuno dovrebbe sentirsi in qualche modo ferito nella propria autostima.

“Todos caballeros”, insomma, secondo questa frase attribuita con sospetto a Carlo V in visita ad Alghero: tutti uguali senza meriti, oppure tutti con gli stessi meriti una volta stabilita per decreto un’uguaglianza indifferenziata – si interpreti un po’ come si vuole, ma la questione non cambia.

Questo è uno dei primi e fondamentali equivoci con il quale viene indicata la scuola dell’inclusività. In tutte le occasioni che ho avuto di incontrare degli studenti per motivi professionali, ho sempre criticato un’impostazione mentale che danneggia la stessa visione che si ha della scuola e che crea delle deleterie fantasie sia nei giovani che nei genitori: c’è un errore concettuale contenuto nella frase “diritto allo studio”: deve esistere per tutti il “diritto ad accedere all’istruzione”, ma altresì per tutti deve essere ben chiaro il “dovere di studiare”. Questa non è una semplice fisima linguistica, ma un indispensabile approccio al problema della scuola e dell’educazione in generale.

Un grande psicoanalista come James Hillman è stato chiarissimo nel denunciare un certo fallimento della scuola americana, quando scrisse che “Pensare dev’essere difficile. […] Insegnare oggi ha confuso il piacere con l’intrattenimento e il divertimento”.

Non ci vuole molta fantasia per smontare la penosa retorica del citato docente, che con un sarcasmo penoso rigetta l’idea della bocciatura e della selezione. La vita implica bocciatura e selezione: che tu voglia fare il barman o il calciatore, il giardiniere o l’autista, qualunque attività implica impegno, fatica, allenamento, studio, sacrificio e alla fine una commissione che stabilisca o meno la tua idoneità. Questo è il dato reale. Poi ci sono i diffusori di illusioni come Saudino, che quando queste si scontreranno con la realtà allora sì che saranno dolori morali e psichici.

Lo Stesso si scandalizza con veemenza per l’ipotesi accennata da della Loggia di attivare classi speciali per cui i bambini con particolari disturbi che la moderna clinica sembra individuare con precisione – la discalculia, la disgrafia da deficit neurologico di tipo motorio, la disortografia per cause di diversa natura, la dislessia. Oppure bambini con disturbi del comportamento: il Disturbo Oppositivo Provocatorio, il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, il Disturbo della Condotta che implicano, nel tempo più breve possibile, l’intervento di uno specialista in neuropsichiatria infantile per la diagnosi più accurata e un mirata intervento terapeutico. In questo caso, sarebbe anche fortemente consigliabile un lavoro di tipo sistemico assieme alla famiglia.

C’è una freddura che riguarda l’ambito medico per cui si dice che ‘la medicina ha raggiunto dei livelli tale di conoscenza per i quali nessuno è da considerarsi sano’. A parte la battuta, è vero che ormai non c’è ambito del comportamento umano che sfugga al furore diagnostico, ma è altresì vero che anche certe terapie farmacologiche con associati supporti psicoterapeutici possono dare eccellenti risultati individuali e di socializzazione.

Quindi, chiederei all’esimio docente per raffreddare un po’ la sua foga di sindacalista degli studenti, quali competenze cliniche-terapeutiche ha un insegnante di sostegno per affrontare da solo uno o più disturbi di diverse entità? Come riesce in pratica a gestire certe situazioni di disturbo all’interno di una classe pur mantenendo un buon livello generale di attività?

E poi, più genericamente, quali potrebbero essere – e sono – le reazioni degli studenti di fronte a certi provvedimenti? Quelli più propensi allo studio, magari dotati e supportati per genetica o per ambiente, si annoierebbero a morte di fronte a un livellamento in basso delle lezioni; gli altri si sentirebbero ulteriormente frustrati ed emarginati rendendosi conto delle loro mancanze in un confronto che, tra ragazzi, sempre stato e sempre sarà particolarmente crudele.

Si potrebbe contestare a lungo in termini clinici e didattici la tirata retorica del professor Saudino, ma un’ultima annotazione può concludere questo appunto.

Se va a vedere le biografie dei notabili di quella sinistra a cui tanto tiene e che tanto ama, si accorgerà che i maggiori esponenti del buonismo e dell’inclusione sono quelli che hanno mandato i figli nelle scuole private più costose, rigide e selettive, e magari taluni mangiapreti, pure gestite da strutture cattoliche. E poi, lei che tanto recrimina sulla selezione, sul rigore e sulla disciplina, nonché sullo studio competitivo e esigente, con la sua retorica dell’inclusione, si è infilato nella stessa trappola che negli anni ’70 sono caduti molti compagni irretiti dalla facilità del famoso sei politico, quando noi rivendicavamo la selezione, quale unica modalità di scalata sociale per merito e non per censo.

Risultato: i caproni con famiglie di potere e benestanti, anche con i sei politico, si sono sistemati in posti di privilegio, gli altri hanno dovuto accontentarsi di quello che l’organizzazione sociale passava loro a causa della bassa votazione. È così che la sinistra ha condotto una delle più stupide battaglie classiste in nome dell’uguaglianza di risultato e a danno dell’intelligenza e della volontà per raggiungerlo.