Mentre la veglia continua sotto la supervisione di Monni, la mia responsabile dell’editing, abbiamo preso visione delle varie manifestazioni in corso in tutta Italia – e solo in Italia – a supporto della falsa crociera dei nipotini sorosiani.

È tutto merito suo se in queste giornate un settantaquattrenne mai reduce vola con la memoria al tempo passato e con questa fa i conti per sopportare questo deserto presente.

Dice Frodo a Gandalf: “Vorrei non aver mai trovato l’anello. Vorrei che niente di tutto questo fosse mai successo”, e Gandalf gli risponde: “Noi possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso”. È un passaggio piuttosto importante del “Signore degli Anelli”, di quel Tolkien che Tomaso Montanari, l’ineffabile rettore dell’Università di Siena ha trovato il modo di dileggiare assieme a Oriana Fallaci e a Franco Zeffirelli dal basso della sua supponenza istigatrice di odio.

Ma torniamo ai grandi, prendiamo coscienza del consiglio del Divino Poeta, conterraneo del prosaico docente, e lasciando quest’ultimo nell’inferno della sua cattiveria proseguiamo nell’argomentazione con “Non ragionar di lor ma guarda e passa”.

Bisogna riconoscere che l’operazione di smantellamento di ogni ideale e di ogni principio ha raggiunto risultati inimmaginabili, e che il risultato finale è stata una vittoria su tutti i fronti.

Da quando, a due giorni dal mio 15º compleanno, ho iniziato l’attività politica, dal punto di vista ideologico mi sono capitati di tutti i colori, e a dire il vero anche situazioni molto simpatiche.

In consiglio comunale mi hanno ufficialmente catalogato come leninista, gli amici ex brigatisti rossi non hanno voluto credermi che fossi fascista e mi hanno catalogato come trotskijsta, i comunisti seri mi hanno detto che con i miei comportamenti e le mie idee sarei finito al confino, alcuni anarchici desiderano coinvolgermi in un dibattito sull’Anarca di Jünger e via discorrendo e divertendosi.

Poi gli anni passano, e le amicizie si rompono, quelle che si credevano inossidabili. Allora scopri che finti sodali ti tolgono il saluto perché sei amico di Dugin, quindi sostenitore dell’Armata Rossa, mentre sostengono il tossicomane e perverso di Kiev credendolo nel loro delirio come la reincarnazione di Stephan Bandera.

Dopo che negli anni ’70 denunciavi l’operazione sionista condotta da Sharon e dai suoi complici, e manifestavi nelle piazze per la causa palestinese, adesso ti etichettano come filosemita, non conoscendo minimamente neppure la valenza di questo termine.

Dopo aver protestato nelle strade, beccandole dai colleghi del papà – eroica, lui sí, carriera nei carabinieri – e dalla “concorrenza” sempre in divisa, adesso se non condividi questi mentecatti casinisti, variamente suddivisi tra ignoranti, prezzolati, manovrati e comunque utili idioti di una causa che non conoscono, ti senti pure considerato un pantofolaio, mentre deridi a congrua distanza queste isteriche esibizioni di nullità.

Dopo aver passato una vita lavorativa tra folli, tossici e galeotti – sempre e comunque considerati una buona alternativa ai ben pensanti e ai conformisti –, scopri che per i salottieri insulsi e indolenti, quelli che “signor giudice si compri il costumino, si mangi l’arancino col suo pomodorino” – come cantava Vecchioni prima di invecchiare male – non hai più la verve della partecipazione.

Dopo aver commemorato imprese epiche come l’impresa di Fiume, o l’attacco al porto di Alessandria da parte di Durand de la Penne e di altri eroici sodali compreso il grande Spartaco Schergat, che da bidello all’università di Trieste mi coprì dopo un epico scontro con gli autonomi, o l’affondamento del sommergibile Scirè da parte degli inglesi, oggi mi trovo a sentire parole come “sprezzo del pericolo”, “atto di eroismo”, “esempio di abnegazione” per il comportamento di quei quattro sfigati della Global Sumud Flotilla, con commenti aggiuntivi del tipo “Gabriele D’Annunzio ed Ettore Muti sarebbero stati con loro”. Invenzioni e supposizioni scadute nel tempo e soprattutto storicamente decontestualizzate nella strategia e negli obiettivi.

È come quando un importante intellettuale che comunque ha la mia massima stima, mi fece ricordare, per una mia critica all’islamismo che stava e continua ad invadere l’Italia e l’Europa con l’obiettivo della sostituzione etnica, l’epico incontro tra Hitler e Amīn al-Ḥusaynī, il Gran Mufti di Gerusalemme. Gli feci educatamente notare che si riferiva ad un’epoca in cui in Germania c’era il Führer, in Italia c’era Mussolini e in Giappone un imperatore discendente dagli dei, mentre nell’attualità – all’epoca del nostro chiarimento – in Germania c’era la Merkel, in Italia Mario Monti e in Giappone, nel 1946, Hirohito rinunciò alla divinità.

Viviamo, insomma, in un tempo in cui la maggioranza pressoché totale di quelli che possono essere considerati attivisti politici, hanno superato il limite dell’immaginazione per addentrarsi, o precipitare, in quello letterale del delirio.

Paragoni paradossali, sovrapposizioni insensate, equiparazioni farneticanti, accostamenti irrazionali, comparazioni dissennate e parificazioni insensate hanno fatto perdere rivista l’unico e più pericoloso nemico che ha livellato le menti, anestetizzato le coscienze e annichilito la ragione: il morbo del capitalismo.

È contro questa malattia dello spirito, che insieme alla democrazia è anche l’infezione delle anime individuali e dei popoli, che si deve lavorare per un fronte comune, iniziando dal combattere il sortilegio della comodità materialista e della conformità esistenziale.

Meno slogan e più spregiudicatezza nei giudizi, meno incantatori di benessere e più agitatore di coscienza, meno digestione di ovvietà e più scorpacciate di passioni, meno puntualizzazioni divisive e più argomentazioni convergenti.

Senza di queste qualità personali e relazionali la maggioranza resterà frammentata, in balìa delle più fantasiose, innocue e banali illusioni di onnipotenza e di autosufficienza.

Torniamo ad essere animali senzienti e non sembianti in un prgetto di società artificiale, come Monni insegna.