Quanto è accaduto a Nathan Trevallion e alla sua famiglia – la moglie Catherine Birmingham e tre figli – da alcuni giorni occupa giustamente un grandissimo spazio dell’informazione. Il presidente del Tribunale per i Minorenni, tale Cecilia Angrisano, ha messo in atto la classica procedura di allontanamento della madre e dei bambini dal loro domicilio con sistemazione in una famiglia protetta e sospensione della capacità genitoriale. Le motivazioni sono tutte da leggere, da studiare e da verificare, pertanto ogni giudizio in merito deve essere sospeso. Qualche dubbio sull’operazione è lecito che ci sia, visto che nella stessa area geografica dello scandalo degli affidi sospetti, precisamente a Bologna, riportava il quotidiano “la Repubblica” che un giudice di quel tribunale respingeva l’affidamento in comunità per una bambina rom, in quanto “Anche se non va a scuola, non la togliamo alla famiglia. È un modo di vita normale per condizione e per origine”.

Di fronte ad una situazione di degrado accertato la giustizia agisce con una certa elasticità, mentre di fronte ad una situazione tutta da chiarire se fosse o meno di disagio e di trascuratezza, la legge si impone con efficacia e rigore, dimostrando come troppo spesso essa si regoli come il famoso timone della barca, che dove lo si gira va.

Il limitarsi a valutare quattro notizie in croce per poi trarre delle conclusioni affrettate e comunque imprudenti si rischia di confondere le acque o, quantomeno, di prendere sonore cantonate. Altro è cercare di approfondire questo ed altri avvenimenti inserendoli in una più ampia e specifica cornice.

Secondo gli strumenti interpretativi della modernità, l’epoca antica – il passato – viene sempre giudicato come oscuro e inferiore. Più di qualche trombone dell’informazione, quando commenta dell’iniziative di organizzazioni che si battono contro l’aborto, l’eutanasia, l’inserimento gender nelle scuole, le esibizioni queer ed altre amene perversioni di questo Occidente in decadenza, non esita a definirle bigotte, oscurantiste, puritane, reazionarie e misogine. Secondo questi cantori del progresso, la famiglia, l’educazione e l’insegnamento devono assolutamente conformarsi alla nuova ideologia fluida e relativista. Perché il progresso è sempre fonte di benessere, dispositivo di libertà, tempo e metodo di emancipazione e di felicità.

Come si è già detto in altro luogo e in altro tempo, è vitale rifiutare radicalmente il linguaggio del nemico e soprattutto avere ben chiaro l’avvertimento di Jünger in “Rivarol”: “Il tentativo di venire a capo di un’epoca con i soli mezzi offerti da questa, si consuma nel girare a vuoto intorno ai suoi luoghi comuni”. Quindi, ogni offerta interpretativa la rispediamo al mittente.

Se corrispondono al vero le notizie su una certa vicinanza – per usare un eufemismo – tra la giudice del provvedimento e le organizzazioni femministe a sostegno delle famiglie arcobaleno in un progetto di “genitorialità fuori dall’ordinario”, allora tutto si spiega in quella cornice alla quale si accennava un paio di paragrafi fa dove si respira l’atmosfera woke ed LGBT.

Tutto, allora, assume un senso ben determinato e questo provvedimento un significato politico e sociale molto più netto e definito.

 

Si può discutere, perciò, se quanto è accaduto non ne abbia in sé un messaggio simbolico ben preciso: quello secondo il quale, alla faccia dell’ipocrito buonismo e del travestitismo green, nessuno può sfuggire alle logiche prestabilite dal sistema, quelle del controllo, dell’ubbidienza e della libertà accettata come un’elargizione, e non prescritta come un diritto. La farsa pandemica ce l’ha insegnato / che essere liberi è già un reato.

Sempre dal punto di vista simbolico, l’attacco a quella “famiglia del bosco” è la dimostrazione di forza contro l’istituto stesso della famiglia e del suo intrinseco potere all’educazione indipendente. È l’offensiva contro quell’istituto che è il primo nucleo politico dell’organismo comunitario.

Qualcuno ha detto che la rivoluzione comincia dal linguaggio, e possiamo constatare come questa affermazione sia concretamente vera e che da molti anni conduca una vera e propria operazione di sovversione linguistica e di quella che viene definita ingegneria semantica.

Un esempio significativo è dato proprio dal famoso sociologo Furedi con un’esperienza personale che riporta integralmente. Nel 2007, la madre era ricoverata in fin di vita all’ospedale e subito si è precipitato a visitarla. “Al mio arrivo mi sono presentato all’infermiera con queste parole ‘Sono Frank Furedi, il figlio di Clara’. La donna mi ha guardato e mi ha chiesto: ‘Lei è l’assistente?’. ‘No, sono il figlio’, ho risposto. Lei ha insistito: ‘No, lei è l’assistente’. All’inizio ho pensato che servisse a chiarire che ero responsabile della sua assistenza sanitaria; in seguito, però, una dirigente mi ha spiegato che usavano la parola ‘assistente’ perché includeva tutti, visto che non tutti i pazienti hanno un parente stretto che si prenda cura di loro. Quindi preferivano ‘assistente’ perché è una parola più inclusiva”.

Sembra una disquisizione al limite del ridicolo, se non si trattasse invece di quella ridefinizione politica del linguaggio e del significato dei termini che ha come fine, culturale e sociale, la decostruzione della stessa idea di famiglia e dei suoi componenti. Nel momento in cui i coniugi diventano ‘partner’, il padre e la madre ‘genitore 1’ e ‘genitore 2’, maschio o femmina, essendo parole strane e “volgari” non possono essere nemmeno pronunciate perché non tutti i maschi si identificano come uomini e, ancora più chiaramente, “non tutte le persone nate femmine sono donne, e non tutte le donne sono nate femmine” ogni concetto diventa virtuale e ogni giudizio irreale.

Oltre alle innumerevoli distorsioni concettuali che negano l’evidenza della realtà e il principio stesso biologico della vita, nel caso specifico “la tradizionale normatività del linguaggio legato alla parentela viene privata della sua autorità culturale [e nell’operazione di insignificazione delle parole] la terminologia della parentela è stata resa neutra e quindi spogliata del suo significato relazionale unico”.

I progressisti, relativisti e fluidi, è contro la stessa vita che agiscono, a costo di sterilizzare psichicamente gli stessi bambini. Niente educazione familiare e nessuna narrazione sugli antenati, ma una precisa e metodica omologazione di pensieri e di comportamenti secondo i peggiori principi del livellamento wokista.

Questo è il terreno di coltura che ha favorito l’imboscata giudiziaria della famiglia abruzzese. E visto i tempi, non sarà l’ultima.

 

 

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