C’è un principio che è alla base di ogni organizzazione perversa, secondo il quale una volta data la direzione ad un incompetente, questo sarà portato necessariamente a farsi circondare da altri incompetenti, con la paura più o meno inconscia di essere messo in ombra o contestato da uno o più competenti di lui, e in ogni caso per avere la falsa sicurezza di essere circondato da cortigiani, dediti a dirgli sempre di sì.
Questa regola che prevale nelle disfunzioni aziendali è stata confermata da Manfred F.R. Kets de Vries, psicoanalista tuttora vivente ed anche uno dei più importanti studiosi di risorse umane presso l’Istituto europeo di gestione aziendale, ed ha uno dei suoi fondamenti nella “presenza di un alto dirigente che insiste per prendere tutte le decisioni, non consentendo mai ad alcuno di pensare al suo posto [e che in questa dimensione] sopravvive solo chi dice sempre di sì”.

Questo rischio si è concretizzato nelle strutture politiche anche in tempi in cui i leader erano veramente carismatici e non saltati fuori con le magie dell’intrallazzi da corridoio e da sottoscala. Pensiamo solo alla scelta di Fini a segretario del Fronte della Gioventù da parte di Almirante, dopo che il suo delfino risultò quinto alle elezioni e a lunga distanza dal primo, Marco Tarchi, – da cui l’appellativo di “miracolato dell’Assunta”, quale pupillo della moglie di Almirante stesso. Insomma, anche nel partito che sosteneva la gerarchia, si scoprì come le simpatie interne non corrispondessero alla vocazione della base, né tantomeno alle competenze dirigenziali di quello che si dimostrò essere il liquidatore di memorie e di testimonianze.

La sinistra, perdute la consistenza e la serietà del vecchio Partito Comunista che prevedeva una rigorosa gavetta attivistica in aggiunta alla preparazione ideologica prevista dalla scuola di partito, ha confermato di anno in anno, fino alla contemporaneità, come qualunque abilità personale e competenza specifica non abbia più significato nel raggiungere gradini più o meno elevati della scala rappresentativa e amministrativa.
Ecco, questa è la situazione politica perfettamente speculare all’organizzazione perversa indicata all’inizio. E in questo clima di rapida deriva di ogni dispositivo che possa chiamarsi anche lontanamente “Politico”, crescono movimenti, associazioni e aggregazioni varie che hanno la presunzione di arrivare a un qualsiasi e significativo risultato elettorale, con l’obiettivo sempre velleitario di contare qualcosa.
Se solo i velleitari condottieri senza esercito prendessero per un momento in considerazione gli avvertimenti di Sun Tzu – “Conosci gli altri e te stesso: cento battaglie, senza pericoli. Non conosci gli altri, ma conosci te stesso: a volte vittoria, a volte sconfitta. Non conosci gli altri né te stesso: ogni battaglia è una sconfitta certa” –, certi patetici disastri e penose figuracce potrebbero sicuramente essere evitate. Ma quando prevale la presunzione e l’arroganza, nessun ragionamento viene preso in considerazione.
Meno astratti e filosofici, se vogliamo, ma più pragmatici e concreti i tre incarichi che Antonio Gramsci affidava a coloro che erano interessati a partecipare alla vita politica: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.
Conoscersi e istruirsi: due istanze imprescindibili sia per gli organizzatori che per gli aderenti. Due esigenze imperative che nella attualità sono documentatamente assenti.
Peraltro, questa indispensabilità politica vale soprattutto perché si pone alla guida di un movimento o alla direzione di un’associazione che abbiano come lo scopo quello di influire in qualche modo nella cosiddetta, seppure equivoca, opinione pubblica.

C’è un paragrafo breve ma molto interessante dal titolo “Sviluppa te stesso per sviluppare gli altri”, in un breve compendio su Lenin “Coscienza e volontaria rivoluzionaria” nel quale è riportato un appunto del leader bolscevico sulla necessità di conoscere l’ambiente dentro il quale agire, e dice testualmente: “Ecco, tu hai organizzato un circolo. Per dirigerlo, devi essere superiore agli altri come conoscenze. Devi leggere di più, crescere tu stesso e far crescere gli altri”.
A questo punto si può ritornare al fenomeno dell’organizzazione perversa e con questo si può spiegare anche il fallimento delle operazioni politiche nell’accezione più ampia che comprende l’economia, la geopolitica, il diritto internazionale, l’idea stessa dello Stato.
Consideriamo i leader politici italiani ed esteri e vediamo come l’analisi di Manfred F.R. Kets de Vries è perfettamente centrata.
Tronfi per successi elettorali di dubbia consistenza, visto l’assenteismo sempre più diffuso e marcato, i vincitori si circondano di amici, parenti, conoscenti e altri miracolati della democrazia ai quali non è richiesto di presentare un curriculum adeguato e consistente, ma solo di supportare sempre e comunque le parole di colui o colei che li hanno cooptati.

Del resto, come perfettamente sostiene un anonimo ateniese di vecchia data – forse Pericle o Crizia –, in un’assemblea “Ora può levarsi a parlare qualunque ceffo e perciò persegue l’utile suo e dei suoi simili”. Se poi le cose vanno male, le promesse non vengono mantenute, la situazione peggiora di giorno in giorno, si evidenzia il trucco che caratterizza ogni organizzazione perversa. Nel caso aziendale, il manager scaricherà le colpe sui sottoposti; nel regime democratico, la responsabilità per gli impegni mancati e sottoscritti “è sempre possibile al popolo ad addebitarne il responsabilità a quell’unico che ha presentato la proposta o l’ha messa ai voti”.
Ma questa non è un’eccezione, perché forse è la voluta fine di una certa politica sovrana, che deve essere ridotta a strumento di manovra per altri poteri ad essa estranei e spesso addirittura contrari. Insomma, agitati in un protagonismo a volte addirittura isterico, questi personaggi sono riassumibili con “sotto il vestito niente”.