I pensionati si dividono grossolanamente in due categorie: quelli che assistono ai lavori in corso, magari pretendendo di essere ascoltati per qualche consiglio non richiesto, e quelli che si trovano a rievocare i vecchi tempi lavorativi e magari qualche meritata soddisfazione.
Io sono di quelli che avendo lavorato in un ambito attratto per vocazione, mi diverto ad applicare quelle curiosità che ho sempre avuto e ho sempre coltivato.

Per questo motivo, quando ho festeggiato la nomina di Beatrice Venezi come nuovo Direttore Musicale alla Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, mi sono dilettato a spulciare i commenti negativi su di Lei e sulla sua investitura. L’ho fatto seguendo tre direttive: quella politica che dopo un po’ ho scartato, perché assolutamente irrilevante e settaria, priva di contenuti e di onestà intellettuale – i fascisti “lottizzano anche La Fenice dopo la Rai”. Quella presuntuosamente tecnica, di estrema superficialità e arroganza, con commenti del tipo: “caduta in basso”; “Incommentabile. Sembra una barzelletta. Oltre la vergogna. Che miseria”; “Non sa tenere la bacchetta in mano… come se stendesse i panni ad asciugare. Non si capisce il gesto… poveri orchestrali”; “indegna e disgustosa per la musica”; “curriculum striminzito”. “Non è in grado di dirigere un’opera, non sa tenere buca e palco. O magari si mette a studiare e diventa capace”; “digiuna di tecnica direttoriale. Poco studio”.
Queste due rivelano dei curricula veramente penosi come “Lavorato presso il conservatorio” (?) e “Lavorato presso Musica Classica” (?). Il trionfo delle competenze orchestrali di ragionieri, commercialisti, educatori, o ignoti curricolari senza “Nessun posto di lavoro da mostrare” e “Nessuna scuola da mostrare”. Quindi, il valore delle valutazioni si commenta da sé.

La terza direttiva di giudizio è quella particolarmente significativa, quella specificamente filosofica legata alla logica e al rigore concettuale, non disgiunta da una buona componente psichica, e riguarda una tizia che ha scritto in un post testualmente così: “senza nulla sapere, bastava ascoltare per capire che il merito era lontano dall’essere una ragione”.
Dal punto di vista culturale e anche psicopatologico, l’analisi non dà adito a dubbi: scrivere che capire il merito di una persona senza conoscere niente delle sue opere e delle sue competenze, in quanto bastevole il suo ascolto, è come dire che si può andare una conferenza di astrofisica non conoscendo una mazza dell’argomento ma potendo giudicare il valore della preparazione del relatore in base alle parole espresse; oppure partecipare a un dibattito filosofico senza conoscere niente di quello che si ascolta, però poter giudicare l’oratore in base alla sua esposizione. Meraviglioso! Il massimo della supponenza e della megalomania.
Eravamo in un incontro culturale quando, molto tempo fa, a una domanda del pubblico il mio amico e musicologo Quirino Principe – quello sì con le competenze per poter giudicare – disse ad un ascoltatore con una punta polemica: noi siamo aristocratici, consapevoli del nostro valore, ma anche perfettamente consci, socraticamente, di non sapere; mentre il democratico, percependo inconsciamente la propria debolezza e la propria inadeguatezza, è quasi costretto a rispondere a tutto per riempire il vuoto della sua insicurezza.

Del resto, come già evidenziato in altre circostanze, quando viene messo a tacere il Premio Nobel Luc Montagnier e dato credito a Matteo Bassetti, quando non viene considerato il Premio Nobel Carlo Rubbia e data importanza internazionale a Greta Thunberg, quando viene perseguitato fino al suicidio Giuseppe De Donno e fatti pontificare fenomeni come Pregliasco, Burioni, Ilaria Capua, ogni intelligenza è da dichiararsi estranea e qualunque competenza è da ritenersi fuori luogo.

Il democratico è un unto del sapere, e un untore del pregiudizio. Per altro è un meccanismo scontato, perché come puntualizza Jason Brennan, “i nostri cervelli tendono a convergere verso le convinzioni che preferiamo avere”, e questa caratteristica è particolarmente sviluppata nella mentalità democratica.
La sinistra, come sempre, applica la doppia tattica del piagnisteo e della denuncia, non conoscendo neanche per sentito dire il valore della correttezza e dell’ascolto. Essa non ha bisogno né di studiare, né di confrontarsi, perché la sua innata superiorità è ontologicamente impermeabile a qualsiasi altra versione che non sia quella supportata dalla sua ideologia. A lei spetta la celebrazione della verità e l’inappellabilità del giudizio. La sua autocertificata superiorità si rifà al principio secondo il quale il saggio non sa nulla, la persona colta e competente sa molto, l’imbecille sa tutto. E l’opzione a cui aderisce è l’ultima, ovviamente.

L’universo della sinistra “È il grande meraviglioso mondo delle stronzate in cui chi parla non sa di cosa sta parlando inevitabilmente dice stronzate ma le dice con convinzione, recitando bene la parte”, per usare le parole di Giancristiano Desiderio nel suo esilarante saggio. “Colui che dice stronzate” – continua Desiderio – “non si pone proprio il problema della realtà, di cosa sia e di come conoscerla […]. L’indifferenza nei confronti della realtà è il presupposto logico e fattuale per dire e per fare stronzate. […]. Tutti o quasi tutti parlano anche di cose che ignorano e così dicono stronzate”.
E con questa griglia di interpretazione, lasciamo pure che molti lascino le loro amene osservazioni sulle varie piattaforme sociali, perché intanto il Maestro Beatrice Venezi dimostrerà con i fatti la loro fallimentare presunzione invidiosa.
Intanto, il Pensionato spulcia, scandaglia e setaccia, mandando un segnale preciso di chi siano le prede e di chi è il cacciatore.