Non è solo una “unità minima di trasmissione ed espressione dei concetti”, ma un dispositivo di comunicazione – per essere chiari anche il silenzio, che senza la parola comunica – i cui messaggi necessitano di una emittente che abbia la prerogativa di essere ordinata e coerente e di un ricevente predisposto all’ascolto e all’analisi.

Per chi si è occupato di comunicazione, tanto a livello clinico-terapeutico che di strategie lavorative, conoscerà perfettamente i lavori di Watzlawick e di altri ricercatori del Mental Research Institut di Palo Alto, studi fondamentali i quali, attenendosi ai principi della cibernetica, della logica, della teoria dei giochi e di alcune precise scoperte della filosofia della scienza, hanno permesso di costruire un modello sistemico di studio e di pratica sul comportamento interattivo umano.

Riassumere questa complicata ma affascinante dottrina sarebbe un’impresa a dir poco ciclopica, ma ci sono due considerazioni dei famosi ricercatori che tornano utili nell’analisi di certi comportamenti comunicativi della realtà culturale e politica odierna.

Il primo è che “l’importanza del contenuto diminuisce quando emergono i modelli di comunicazione”; il secondo, adesso collegato, è che “l’individuo crede di reagire a certi atteggiamenti e non di provocarli”.

Spieghiamo meglio questi due “errori” che sono quelli che si evidenziano con particolare facilità nell’analisi di talune interviste o di certe esposizioni di personaggi, ritenuti illegittimamente importanti nel deserto intellettuale della contemporaneità.

Quando un esponente politico parla dal suo punto di vista dell’importanza del credo “Dio, Patria, Famiglia”, si può decidere di entrare nel merito del contenuto in un confronto su cosa si intenda per divinità, quale sia il Dio di riferimento, che importanza possa avere per una comunità il senso del divino ecc. Nel momento in cui, senza nessuna possibilità di contraddittorio, il saccentino di turno interviene direttamente dal suo trono sapienziale proclamando che quanto espresso è “una cazzata…una belinata”, automaticamente squalifica l’emittente – per dirla nei termini della programmazione neurolinguistica – e in contemporanea perde ogni importanza il contenuto simbolico dell’affermazione iniziale, chiudendo così ogni possibilità di dialogo. Il fatto può ancora peggiorare nel momento in cui si fanno delle osservazioni a dir poco incongrue, e per molti versi idiote, sui singoli tre aspetti. La presunzione e il narcisismo hanno fatto il loro gioco, soddisfatti della loro stessa nullità.

Per la seconda questione comunicativa, c’è un altro fenomeno dell’egocentrismo e della spudoratezza, perfettamente associati a due buone dosi di arroganza e di insolenza, il quale, intervistato su alcuni diversi argomenti, a proposito di Oriana Fallaci parla de ‘L’orrenda Oriana… che usava un linguaggio violento e squadrista… seminatrice di odio…che non riconosce l’umano nell’uomo”. Non scappa al suo giudizio inquisitorio neppure Franco Zeffirelli “regista di film dolciastri e inguardabili…un insopportabile mediocre, come riconobbe Ennio Flaiano…una figura disastrosa, artisticamente e umanamente”. Per entrambi citati, pensare di dedicare strade e piazze “significa veramente aver perso la bussola”.

Queste modalità di comunicazione sono più che diffuse, si potrebbe dire proprio prevalenti, nell’approccio della cialtroneria antifascista a qualunque questione che non sia percepita come propria o, ancora peggio, individuata come avversa.

Il contenuto della comunicazione perde di ogni qualità dialettica e si trasforma in un vero e proprio anatema.

Gli anatemi, per altro, sono variamente distribuiti: dalla storia che per legge non può essere revisionata – come peraltro sarebbe il suo compito operativo, dall’educazione dei figli che deve essere tolta ai genitori in odore di integralismo bigotto, alla presenza di case editrici non allineate sulla quale deve scattare la censura preventiva, alla religione – vedi la mancata presenza di Papa Ratzinger all’Università La Sapienza di Roma nel 2008 – per difenderla dall’integralismo e dal dogmatismo della sua teologia, alla stessa idea di nazione e di sovranità, considerate strumenti di odio e creatrici di confini.

Insomma, non c’è argomento che possa sfuggire a quella intolleranza e a quella cattiveria che sono, assieme ad una pasciuta e soddisfatta ignoranza, le due nemiche giurate di quella “simbolica” – perfettamente studiata e insegnata dall’illustre Giulio Maria Chiodi – che “è la forma di studio rivolta ad evidenziare direttamente quelle manifestazioni dell’essere e dell’agire che sono espresse dal profondo, dall’immaginario e dall’immaginazione creativa e formativa, dalle strutture di senso, identitariamente costitutive o determinanti”.

È chiaro che i vari intellettualoidi che infestano il panorama culturale da molti decenni, gonfiati della mentalità illuministica, guastati da una impostazione utilitarista, corrotti dall’ideologia relativista e intaccati dal tardo razionalista, non possono concepire nulla che sia spirito, fede, obiettività e correttezza.

Il fatto stesso che si uniscano in cenacoli autoreferenziali, dove ognuno intervista l’altro, che pubblicizza libri editi della stessa casa editrice e supportata dal medesimo giornale, la dice lunga sulla disponibilità mentale di questi personaggi. La logica dialettica di tesi-antitesi-sintesi che dovrebbe sostenere un qualunque incontro dotato di valore e finalizzato a una comune conoscenza – lo stesso spazio librario è la concretizzazione simbolica di questa opportunità – non è nemmeno preso in considerazione, perché la cialtroneria antifascista non espone un’idea, ma pontifica, non esprime una valutazione, ma giudica, non cerca la verità, ma te la somministra.

Per finirla con una simbolica psicoanalitica, questa consorteria di unti dalla sapienza hanno un unico uso della parola dei tre previsti dalla “legge” dell’analisi: non la luce che illumina e serve a fugare l’oscurità della reciproca ignoranza, né quello del non detto che magari se espresso potrebbe portare ad una condivisa conoscenza, ma la parola come proiettile, che deve colpire e annientare – Recalcati parla anche di spranga o di bastone – e quindi porre termine ad ogni senso funzione stessa della parola.