Nel mio percorso di approfondimento della psicoanalisi ci sono alcuni paradigmi decisivi che ho totalmente abbracciato nella mia attività: l’apertura verso la co-noscenza e il rifiuto del giudizio. Ascolto senza preclusioni e assenza di pregiudizi (o quanto meno sforzo a superarli). E i due pensatori citati sono comunque due rappresentanti di questo stile di pensiero.
Galimberti, nello specifico, ha scritto pagine da manuale sul superamento dell’“ipnosi della doxa”, sullo svelamento dei luoghi comuni, sullo sviluppo del pensiero critico.
Eppure, entrambi, in ogni esposizione di elevata comunicazione e di acuti concetti, scivolano pateticamente verso il più becero e rozzo antifascismo: sciatte banalità da centri sociali o da volantini dell’associazione partigiani.
Quando devono disquisire di paranoia ecco citare Mussolini, nel descrivere la morte del desiderio pronto l’esempio del fascismo, per analizzare il problema della scuola si cita Gentile pur sottolineando i suoi loschi e tenebrosi compromessi.
Li rispetto perché a loro l’istruzione certamente non manca, ma il senso del ridicolo non lo posso negare nella mia valutazione finale.
Ogni due per tre salta fuori Auschwitz e l’olocausto, mentre il centinaio di milioni di morti non fa parte della grande psicopatologia del comunismo. Precisano la megalomania di Mussolini, ma le purghe staliniane e il processo e le esecuzioni dei medici sospettati di complotto non è disturbo persecutorio, né ha dignità di diagnosi. Si lamentano del decadimento della scuola proponendo educazione, vocazioni, disciplina, rispetto ed altri correttivi condivisibili, nascondendo le loro responsabilità nel degrado denunciato in quanto esponenti della sinistra distruttri-ce e libertaria.
Insomma, come tanti, si ergono a salvatori dallo stesso scadimento che hanno in ogni caso per volontà o incuria provocato.
Peccato. Anche loro con il pensiero a quell’ammasso che pretendono velleitaria-mente di non appartenere. Anche loro infettati da quello che il grande filosofo marxista Costanzo Preve definisce “processo di marcescenza” e il cui esimio rap-presentante è stato Umberto Eco, avvelenatore di pozzi nei quali dovrebbe abbe-verarsi la gioventù.
Tutti ad occupare “militarmente”, secondo la dizione di Preve, posti di rilevanza nella comunicazione, nell’editoria, nelle televisioni, nelle università e nella propa-ganda in generale, a distorcere pensieri, ad infiltrare coscienze, a manipolare in-terpretazioni.
Peccato. Intelligenze e culture assoggettate all’iscrizione nel libro-paga de “la Repubblica”, convinti dell’interiore libertà e senza possibilità, per fare un esempio a loro sicuramente caro, di ribaltare la logica servo-padrone del tanto citato Hegel.
Loro, comunque, continuerò a seguirli da critico auditore. Fusaro no: questo resta solo un guitto, un patetico figurante di questa politica da avanspettacolo.
Preve l’ho conosciuto e l’ho sempre stimato, condividendo lo stesso giornale al quale partecipavamo. E a ragione sottolineò un fenomeno degli ultimi cin-quant’anni: ai tempi di Hegel e di Schopenhauer gli intellettuali erano più intelli-genti delle persone comuni, ora sono più stupidi di queste. Il tradimento dei cleri-ci si è compiuto.