Paolo Berizzi rivendica a sé la paranoia e l’ossessione per il fenomeno del fascismo eterno, e lo fa con cognizione di causa ed una riconosciuta capacità di insight.
Da oltre vent’anni, la sua vita è scandita quotidianamente dalla caccia a qualsiasi spunto politico, sociale, simbolico che possa fare emergere nel suo inconscio quella tensione emotiva che si concretizza nella pulsione alla denuncia di complotti, di trame, di macchinazioni, di cospirazioni a valenza addirittura internazionale. Interpretazioni a volte fantasiose, ma confacenti alla sua realtà interiore, e con proiezioni adeguatamente corrispondenti al suo mondo psichico. Uno stato d’animo purtoppo aggravato dalla concessione della scorta, che ha confermato la sua ideazione alterata, permanente e pervasiva.
Con aspetti completamente diversi nell’espressione, ma identici nel fondamento psicopatologico, ho avuto un paziente molto simpatico – lui sì – che manifestava un quadro piuttosto similare.
Ingegnere affermato, aveva tempestato di denunce diversi uffici accusando vicini ed estranei di intromettersi nella sua abitazione e di mandargli segnali di minaccia e provocazioni variamente intese.
Si presenta in studio accompagnato da un parente, l’unico di cui si fidava. Elegante, eloquio fluente, un linguaggio meticoloso e persuasivo.
Prima di iniziare il colloquio estrae da un borsone un voluminoso incartamento contenente foto accuratamente catalogate della sua abitazione. Una casa completamente blindata – e sottolineo l’accuratamente – dalle finestre alla porta del bagno, con segnalatori di allarme, video di sorveglianza. Per capirci, lui, prima di uscire da casa, rilasciava una polverina sulle maniglie e sul pavimento per poter verificare eventuale impronte di estranei che fossero penetrati nei singoli ambienti. Dopo una spiegazione accurata sui segnali ritenuti significativi delle intrusioni – sempre secondo la sua patologica percezione – mi indica un punto del copriletto da lui ritenuto il segno di una mano appoggiata e mi chiede spiegazioni sul fatto denunciato. A quel punto, con la consapevolezza che la paranoia e il narcisismo sono due espressioni patologiche impermeabili alla ragione, faccio una domanda diretta: “Secondo lei, con tutte le precauzioni prese, come giustifica l’ipotesi delle intromissioni che riferisce?” E lui, candidamente, ribalta la questione, e mi precisa: “Forse non mi sono spiegato bene. Sono io che sono venuto da lei, e la pago, per dirmi come delle persone possano sfuggire alle mie contromisure, perché se lo avessi scoperto da solo non sarei qui a parlarne”. Una risposta paralogica che non fa una grinza. Si alza, chiude la seduta, paga e se ne va.
Fatte le debite differenze, il pensiero di Berizzi segue gli stessi binari nell’organizzazione del pensiero, indenne nella struttura formale, ma completamente deviato nei contenuti.
Aldilà della povertà culturale, della scadente conoscenza della questione, dei collegamenti forzati e fantasiosi, dell’impossibilità comunicativa sul piano razionale, dell’impenetrabilità dialettica, il Berizzi si situa al vertice di un processo ideativo e affettivo come figura autoreferenziale di autorità morale. Il paralogismo è identico, con una dose abbondante di sofismo: il pericolo fascista è davanti agli occhi di tutti, chi non lo vede è superficiale o complice, la denuncia è il metodo indispensabile per metterlo in evidenza, bisogna prendere tutte le precauzioni possibili, la sua missione è di dare l’esempio e combatterlo. Non importa che studiosi internazionali abbiano studiato e continuino a studiare il fenomeno secondo le specifiche competenze. Lui, l’inquisitore, ha già deciso: non c’è niente da capire. La condanna è inespiabile.
Come l’ingegnere chiude il dialogo, Berizzi non accetta il confronto con chi non la pensa come lui. L’ingegnere vuole la prova che certifichi la verità del suo delirio; Berizzi vuole l’attestazione di antifascismo per convalidare la sua realtà ideologica. In questo modo si è costruito e vive in quella che il grande psichiatra e accademico Silvano Arieti, in uno dei più importanti trattati definisce: – la comunità paranoide. Che nel caso Berizzi significa parlare, scrivere e partecipare solo per ed in congregazioni di credenti – Anpi, librerie Feltrinelli, centri sociali, gruppi antagonisti ecc. –, mentre il nemico è fuori, in agguato eterno come il fascismo.
Ci sono, però, secondo me, altre due componenti oltre alla paranoia e l’ossessività ammesse dallo Stesso: il narcisismo e il voyeurismo. Un autocompiacimento verbale e non verbale nell’essere al centro dell’attenzione, dove la stessa tiritera sulla scorta diventa un fattore di alimentazione esogena. E un godimento simile a quello dei censori ecclesiastici che passavano le giornate a leggere libri erotici per poi metterli all’indice. Il Berizzi non sbircia l’esibizionista con l’arnese di fuori, né la coppietta che pomicia dietro la siepe, né i due innamorati che festeggiano scopando in macchina. Lui no. Lui adocchia il saluto romano, curiosa la cena del 28 ottobre, scruta il corteo commemorativo… gode e denuncia. Come le comari di “Bocca di rosa”, stigmatizza, accusa e segnala, con l’animo impotente del questurino. Una specie di controtransfert, una sorta di reazione controfobica.
Oltre a questi aspetti psicologici, da non trascurare, c’è sempre l’aspetto commerciale di una notevole importanza, perché si sa, da vari decenni, che come canta una vecchia canzone: “Trama nera, trama nera / sol con te si fa carriera”.
Un’avvertenza a tutti i detrattori di Paolo Berizzi. Fatela finita con gli insulti, e tanto più con le minacce. Lasciatelo in pace e sia intoccabile come Dio decise diffidando chiunque a danneggiare Caino. Non ha altro nella vita. Fa parte di quella popolazione saprofita – perfetta inquadratura di Marcello Veneziani – che si nutre e si ingrassa di cadaveri, e non porta nulla di costruttivo nell’esistenza sua e in quella altrui. Oltretutto, se si dovesse beccare uno schiaffo, si rischia un’accusa di tentato omicidio, e sai che scartavetramento di palle tra presidi di solidarietà, firme di sostegno, tavole rotonde di supporto, attivazione di comitati contro l’odio, che già così gonfiano quotidianamente la retorica antifascista.
Se fischia il vento di Berizzi, basta mettersi un maglione, che poi la tempesta prima o dopo se la procura da solo.