A chiunque si aggiri negli spazi offerti non solo nelle città, ma anche in sperduti paesini della nostra nazione, non può sfuggire la presenza di pur piccoli segni di creazioni artigianali, architettoniche fino a veri e proprie esplosioni artistiche.
Se uno non è psichicamente cieco, emotivamente analfabeta, deve oggettivamente ammettere che lo spirito artistico è morto, e la modernità l’ha ucciso – tanto per riecheggiare il lamento del folle al mercato che annunciava la morte di Dio.
La creatività è morta per decenni di istruzione – dalle scuole elementari in poi – mirata allo sviluppo della razionalità, delle competenze tecniche. La letteratura è stata espulsa, il compito di italiano ridotto ad analisi del testo, la storia scomunicata, la filosofia pressoché ignorata.
Tutto ciò che era educazione della psiche è stato ridotto a trasmissione di pratiche che seguono la stessa riduttiva indicazione del processo tecnico: massima efficacia e minimo sforzo.
La creatività è stata uccisa dalla meccanizzazione dell’uomo e della stessa vita, castrando quel dispositivo fondamentale e unico che permea – o dovrebbe pervadere – l’esistenza di una persona e del popolo di appartenenza: l’entusiasmo.
Invece di disperdere energie, denaro e tempo per addestrare i giovani a competenze pratiche, il sistema avrebbe l’obbligo morale ed etico di attivare le loro risorse interiori, le loro vocazioni, il senso della propria vita.
Entusiasmo, tanto per essere precisi, deriva dal greco e significa “un Dio dentro di sé”: eccitazione, passione, follia creativa. Senza di esso non c’è arte, né destino, né storia. La razionalità non è creativa, non è entusiastica, non ha un Dio dentro di sé ma solo il criterio del pratico, il senso dell’utile, l’obiettivo del profitto.
Per quanto riguarda la scrittura gli scaffali sono sommersi da manuali, mentre le opere che interessano l’interiorità sono scadenti e superano a stento il tempo di un premio concordato.
Le città non hanno più cattedrali nuove, né monumenti da tramandare, perché queste sono opere inutili, e che corrispondono a uomini e periodi di gloria e di splendore, quindi non alla post-modernità.
L’entusiasmo è direttamente collegato all’eccesso, all’inutile, al superfluo, che la tecnica, in complice sodalizio con il capitale, non può tollerare.
La morte dell’entusiasmo è concomitante alla vittoria della mentalità borghese. Osserva Georges Bataille come “il mondo borghese disprezza i comportamenti gloriosi, e li reputa inferiori a quelli utili. La borghesia, in verità, fa dell’uomo un animale servile e meccanico”.
E l’entusiasmo è appannaggio del padrone, del signore di sé: né del servo, né del tecnico.