Diciannove anni fa, James Hillman – fondatore della psicologia archetipica – scrisse: <<Pensare dev’essere difficile. Non divertimento, non svago, non intrattenimento. Insegnare oggi, almeno in America, ha confuso il piacere con l’intrattenimento e il divertimento. Si ritiene che il bambino debba trovare vie facili per imparare, e divertirsi mentre impara. Questo non è erotico. È pre-erotico, infantile, e lascia la mente innocente e ineducata. Nessun rigore>> (“Il piacere di pensare”, Rizzoli).

Con metodo pervasivo e cinica persuasione nel corso degli anni si sono corrose le fondamenta dell’educazione, lasciando i ruderi scomposti di un insegnamento basato sul senso pratico, sull’apprendimento meccanico, sull’infarinatura più che superficiale.

L’analisi del testo, l’apprendimento mnemonico, l’ansia delle interrogazioni, l’attenzione alla scrittura, la ricerca con l’approfondimento hanno lasciato il posto ai test, alla programmazione e alle funzioni facilitatorie dei mezzi tecnologici.

Insegnanti e genitori complici della disfatta, insieme ai propagandisti di computer, smartphone e altri dispositivi digitali, e nonostante allarmi inascoltati di esperti e ricercatori liberi e seri sui danni derivanti da questa diffusione incontrollata.

Manfred Spitzer, professore ad Harvard e Direttore del Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm, già nove anni fa pubblicava delle ricerche dai risultati agghiaccianti.

<<I media limitano l’approfondimento e l’elaborazione>>, <<hanno un influsso negativo sul nostro pensiero e sulla nostra memoria>>, <<inibiscono le esperienze fondamentali per un sano sviluppo psicofisico>>, <<ostacolano le capacità e i rapporti sociali>>, alterano le stesse strutture cerebrali di un cervello in pieno sviluppo come quello infantile. E avverte: <<Prima di introdurre computer portatili negli asili e nelle scuole elementari, dovremmo sapere che cosa stiamo facendo ai nostri figli!>> (“Demenza digitale”, Corbaccio).

Ma niente da fare! Insegnanti incompetenti, superficiali e succubi della pubblicità; genitori impreparati, inconsistenti e guidati dalla comodità sono risultati ciechi e sordi a queste raccomandazioni.

Si è così costituita la <<”generazione fiocco di neve”: così fragili che basta un niente per scioglierli>>. Jean Twenge, docente di psicologia all’Università di San Diego, da una ricerca tra il 2012 e 2015 si evidenziavano i gravi disturbi dall’uso dei media e specificamente di Facebook, con <<alti sintomi depressivi>>, <<fattori di rischio di suicidio>>, <<depressione del 21 % in più nei ragazzi e del 50% nelle ragazze>>, <<anche la salute mentale degli studenti universitari si sta deteriorando>> (“Iperconnessi”, Einaudi).

E adesso tutti a piangere, a lamentarsi, a inveire contro il nulla perché la responsabilità é tutta loro: insegnanti e genitori corresponsabili nel disastro psichico di più generazioni.

Basta con i piagnistei e gli intollerabili mugolii. Di fronte al male, i nostri antenati avevano definito un comportamento: Sustine et Abstine, che in termine nazionalpopolare è traducibile con “sopporta la disgrazia e astieniti dal rompere le palle”.

Che gli insegnanti validi – e ce ne sono, e i genitori pregevoli – e ce ne sono, e i giovani combattivi – e ce ne sono, facciano una salutare alleanza contro un sistema che in nome di una distorta democrazia ha negato l’educazione in quanto etimologicamente difficile e selettiva sostituendola con l’informazione leggera e indulgente.

Risultato finale: tutti democraticamente uguali nel malessere, nella frustrazione e nell’ignoranza. E il potere vince alla grande.