UNA COMUNICAZIONE FANTASIOSA (da Electomagazine.it)
“Il sonno della ragione genera mostri”, nella rappresentazione in acquaforte e acquatinta del Goya, e dopo duecentoventicinque anni dalla sua realizzazione, l’opera è stata messa in scena su La7.Con la regia di Concita de Gregorio, figurante della fighizia sinistrorsa, e il giullare della corte radical-chic David Parenzo, gli attori principali della sceneggiata draghista sono stati Paolo Mieli e Massimo Giannini.
La farsa tragicomica aveva come tema conduttore le dimissioni di Mario Draghi, più simboliche e mirabili del rogo di Giordano Bruno, dell’esecuzione postuma di Oliver Cromwell, dell’affissione delle Tesi di Martin Lutero.
Il discorso di Sua Eminenza è stato definito “strepitoso” da Mieli, con alcuni spunti che raggiungevano il “sublime”. Il migliore discorso che poteva fare, secondo Giannini, perché “Lui è altra cosa rispetto a questi politicanti di scarsa levatura”.
La vestale dei quartieri alti ha espresso anche un suo sentimentale imbarazzo per un Draghi che “da professore di Harvard si è trovato ad insegnare all’alberghiero di Massa Lubrense”. Un abbassamento plebeo, suo malgrado, a conferma della magnanimità del Medesimo. Del resto, il Parlamento non è la Banca Centrale – e qui la faccia dell’intellettuale organico assume una conformazione anatomica diversa – perché, sempre Lui, “è il miglior quadro dirigente che l’Italia ha”.
In fondo, specifica Mieli, “Draghi è stato chiamato lì non per dar retta ai partiti”: una grande verità, perché – come ha puntualizzato Dario Fabbri di Limes – il fatto che uno “sia apprezzato all’estero non vuol dire che sia bravo, vuol dire che è funzionale ai loro interessi”.
Insomma, il “vile affarista” denunciato da Cossiga viene incensato come l’Uomo della Provvidenza – altrui, con agitazione di turiboli e cori coordinati di ellenica memoria.
Perché questa è ormai la pozzanghera culturale nella quale sguazzano i tenutari del potere politico e mediatico. Non si entra più nella realtà dei fatti, nei curricula dei protagonisti, nell’approfondimento dei progetti, nella ragione delle riforme, ma si crea, con l’ubriacatura linguistica, quella che Fusaro ha definito una “nuova cosmogonia”, una realtà-altra alla quale accedere e adeguarsi.
Basti pensare che nel corso della stravolta cerimonia shakespeariana – Non sono venuto a seppellire Draghi, ma a farne l’elogio – c’è stato chi ha avvertito che l’Europa aumenterà i tassi di interesse e non pagherà il debito italiano. Grecia docet. Da ciò si deduce che l’Italia è sotto sequestro nella sua sovranità da parte dell’Unione Europea e quindi in una condizione di ricatto costante da parte degli estorsori di Bruxelles e di Francoforte, e Draghi è sempre stato il mediatore tra sequestratori e sequestrato.
L’unica cosa che gli riconosco è il tradimento subìto da parte di coloro che lo hanno sostenuto, incensato e difeso, e poi, allettati da un possibile successo elettorale rivendicando la sua caduta, lo hanno rinnegato. In grande – per storia e per memoria – un simile comportamento è già stato applicato: prima che dalla resistenza, questa Italia è maturata dal 25 luglio e dall’8 settembre, se poi ci mettiamo la collusione mafiosa vediamo un po’ lo stigma che marchia questa miserrima repubblica.